lunedì 3 giugno 2024

Bergamo

 

Sei seduto su una della quattro sedie del tavolo del tuo soggiornocucina.
Non t'è mai piaciuto avere un soggiornocucina, ma questo è.

La sedia è sempre la stessa, l'hai scelta forse perchè è davanti alla finestra e vedi fuori, la casetta rosa col tetto nero. Sembra una casa della bambole, che con Milano c'entra praticamente zero. Se la guardi bene, pure la via di casa tua non sembra Milano. Non ti è mai sembrata Milano, forse per questo alla fine l'hai scelta.

Sei seduto e scrivi, e farai tardi, e te ne accorgerai tra un'ora quando sarai in macchina che guidi, la macchina non è tua, la perderai il 30 Settembre. Guiderai, andando dall'avvocato perchè oggi firmi la conciliazione.

Non mi sento conciliante, e manco conciliato.
Mi sento solo e perso, come i bambini sperduti di Peter Pan. Solo che l'isola nella quale stai è bagnata o circondata da un mare di merda.
Lo sanno tutti ma fanno tutti finta che non sia così.
Il solo che te lo ricorda sei tu, e alla fine fai bene.
Se non ti prepari per le bombe come fai a scappare o non prenderle quando e se ti pioveranno in testa.

Ho deciso come mi vestirò. Ho deciso che non dirò mezza parola.
Continuerò a vivere l'ingiustizia sperando che quella bilancia metta in paro tutte le infamità che ho ingoiato nell'ultimo anno.
L'anno dell' "astro nascente".
St'astro ha fatto più botto che scia.

E penso ad un sacco di cose inutili, ma quella che penso di più è quando avrei potuto, impuntarmi, e fare uno sbaglio diverso, ma più bello, davvero più bello.

"No, senti, io vengo lo stesso, poi so' cazzi mia, vabbè?!. Mo me porti a spasso in quel posto che mi avevi detto che mi volevi portare?". T'avrei presa per mano, avresti fatto resistenza, e avrei sperato che i miei occhi ti avrebbero convinto a smollare, almeno per quel pomeriggio.

Invece no, ne quello, ne questo che è successo è andato bene.
Avevo un sogno, è crepato.
Avevo un piccolo brande obbiettivo, è morto pure quello.
S'è portato via pure 15 anni dietro.
Ha svelato le carte.
Tu, per te stesso, ne esci come uno che può guardarsi allo specchio. Non me pare poco, ma quanto fa male sapere che dall'altra parte c'è qualcuno che non può, se a quel qualcuno gli volevi pure bene.

Ecco, mo impara pure a non voler più bene nemmeno lì.

Ogni mattina mi svegliano, anzi ti svegliano, sempre gli stessi pensieri, e adesso so diventati preghiere "te prego passa non te sopporto più, te prego passa".

Tutto sembra un secondo dopo l'altro quello più bello, perchè è intenso e tu sei fatto così, ti piacciono le cose piene, fosse che fanno male, e quello più brutto perchè ti racconta solo domande, non storie. Le domande non si possono raccontare, Sticazzi. Quello succede.

Se oggi sto qua e domani no?
Eh pò esse, che faccio?
E finisce che ti alzi, perchè pure le lenzuola pesano troppo, ti schiacciano.

Patrizia vuole che riprendi il citalopram, ma non fai altro che dire no.
E fai bene. Per me. Per te.

Se non ti ricordassi perchè si chiama Bergamo questo pezzo di scrittura della tua vita è perchè mentre tornavi, a Pasqua, da Roma, quando in fondo sei scappato, e lo sai, perchè eri nel vuoto peggio che a Milano, ti è capitata sta canzone dei Pinguini, inevitabilmente l'hai legata alla sola persona che ancora smuove i globuli rossi del tuo sangue, e non fai altro che ascoltarla, ciclicamente, ci vai in fissa. Ma anche perchè è proprio bella, come canzone.

Adesso ti vai a sistemare, metti la maglietta nera, un maglioncino sottile mezzo serio, che almeno sembra che sei "normale" e vai. Dovrai morderti la lingua, fai il bravo che tanto non serve a niente. E poi quando hai firmato sto strazio e tutti sorridendo usciranno dalla tua vita augurandoti solo cazzate, vai in libreria e prendi due libri, leggili, che adesso ci riesci.

Sogno nel cassetto "Diego, per favore restiamo cinque minuti privatamente, dopo?".
Il cassetto è senza base, casca tutto per terra.

Mi avete cacciato ingiustamente. Le persone mi volevano bene e stavo imparando a voler bene anche a loro. Tutto sarebbe arrivato, avevo solo bisogno di un giro di orologio, avevo solo bisogno di fiducia, affetto e sincerità.
Avete vinto voi, su tutta la linea, vi siete spartiti la torta e non m'avete lasciato mezza briciola.
Me la rifaccio da solo sta torta, e vi auguro un giorno di assaggiare il medesimo amaro infame che mi avete obbligato ad ingoiare.

Che succede domani?
Non lo sai. Non lo sai davvero.

Odiarli non ti serve.

sabato 10 febbraio 2024

Ragionevolmente, sei mesi

 

Questa volta non è, o non sarà tanto se lo ricorderai o meno, è come vuoi volertelo ricordare.
Così dovremmo tutti noi lasciare le memorie nella nostra testa.
Avere il modo di scriverle non per come accadono, ma per i sentimenti che quelle cose che succedono ci tirano fuori.
Alla fine che te ne fai di un'evento, non è la morale che ti porti a casa? Non sono i sentimenti?
Sì, forse, tanto per cambiare.

Quindi ecco, nel raccontare questa storia, niente della storia ti dirai, ma quello che effettivamente ti esce dallo stomaco, e per quanto sia controverso, per quanto contrastante, la vera verità, come al solito sta dentro le pieghe delle sensazioni.

Quindi, nel momento in cui un avvocato, che senti quasi tutti i giorni, perchè "ragionevolmente, in sei mesi" il puntino rosso che non vedi ma senti dietro la schiena, manifestazione di qualcuno che ti tiene a mira e appena potrà, soprattutto se sbagli mezza cosa, premerà il grilletto.
E quello che succederà, da quel momento in poi, davvero nessuno, bersaglio incluso, potrà saperlo.

Allora è questo il momento in cui, perchè la malinconia vince sempre, perchè la malinconia è attenzione a spaccare ogni secondo, come spaccare il capello, della vita, riesci anche questo vomito qualcosa che alla fine di te, ti sta piacendo, che di te non vuoi cambiare e che di te, alla fine, non cambierai.

Il bello, sì, il bello di vedere le pupille degli occhi dei ragazzi quando dici qualcosa che li illumina, quando per loro stessi, ma anche perchè credono in quello che hai detto, si siedono di nuovo e riprendono anche da capo a fare una cosa, felici, perchè sanno che davvero verrà meglio.
Il bello di lasciar loro una confidenza che li porta a prenderti in giro in ogni modo, ad aprirsi con te, a lamentarsi con te, anche di te.
Il bello di vedere come anche da chi pensavi non ci fosse mezza mosca nel cervello, con pazienza e (quello che io chiamo) amore, alla fine piano piano una briciola di pepita, cazzo esce, cazzo se esce. E il bello di vedere che manco loro se lo aspettavano? Immenso.
Il bello di coinvolgere un gruppo di quattro cinque persone intorno ad una cosa che non sappiamo manco come andrà. Il bello di vederli davvero tutti per uno, uno per tutti, vaffanculo Dartagnan.

Il bello di vederti sprofondare per un'accusa giusta solo in parte (piccola), cadere in un buco nero, che stritola il cervello e spacca il cuore in tanti pezzi, un bicchiere che cade in terra. Raccoglili, in fretta, non c'è tempo per mostrarti debole, non c'è tempo per stare curvi.
Il bello di vedersi circondati, pressati, sfiniti dal vocio, dal chiacchiericcio senza alcuna sostanza, per te che solo in quella credi, e comunque in tutto questo trovare quel bagliore chiamato (e siamo sempre lì) amore, sì amore per una cosa immensa chiamata idea.

Il bello di averne, di volerle cercare e di sapere che una volta trovata niente sarà più forte di lei.
Ho scelto una vita in cui quello che esce dalla testa fa la voce più grossa e più forte.
Più forte della politica, più forte dell'infamia, più forte dell'egocentrismo e della vanità.
Solo colui che è scarso di contenuti, fa della burocrazia la sua arma.
Nel mondo in cui ho scelto di vivere ancora non ero stato esposto a tutto questo.
Mi ci sento bene? No affatto.
Come mi ci sento? Un pesce fuor d'acqua.
Un bambino lasciato in camera in punizione.
Un albero costretto a diventare un bonsai, che fatica a non trovare spazio dentro una scatoletta.

Il bello di sentirsi diversi da tutte quelle persone, unte, il bello di non avere la minima invidia per quella che loro chiamano maturità, e il bello di non averla, non maturarla, non perseguirla, non volerla nemmeno sfiorare.
Il bello di aver avuto sempre di più se necessario, la conferma che sei come sei, uno scemo romantico che fa della vita narrativa, che crede nell'amore, questa in forma di idea, e che di sicuro questa volta la pagherà, cara, carissima; che di sicuro in questi fatidici ragionevoli sei mesi avrà a che fare con colpi bassi, strizzate di stomaco, ingiustizie mascherate da gerarchia, finti sorrisi, scambi di parole che hanno il sapore delle nuvole di drago che mangi al ristorante cinese, vuoto e unto. Sì, vuoto e unto.

Eppure c'è il bello di aver capito che forse aver voluto toccare il sole con mano non era esattamente la cosa giusta, o forse, non era la cosa giusta insieme a chi te lo aveva proposto.
Perchè avere dei sogni è bello, ma è bello ancora di più capire con chi è possibile e con chi no realizzarli davvero.

Seguiranno giorni che avranno il sapore amaro dello xanax (che ora scopro scriverndo essere anche palindromo), ogni goccia una sconfitta? Ogni goccia una speranza?
Avrai paura? R'ca troia, ne ho già tanta adesso.

Eppure l'hai sentito due giorni fa quella sensazione, te lo sei detto in silenzio, ed è come essere sulle montagne russe. Salire pensando che questa cosa davvero ti sta cambiando, profondamente, in alcune cose, come singolo, come giovane uomo che ama questo lavoro, più forte; a tratti scendere in maniera vertiginosa, quasi da non sentire le dita dei piedi, il vuoto nello stomaco, ed immaginarti (con maggiore o minore fortuna) camminare chissà dove fra sei, sette otto nove dieci mesi.

Ed è bello voler comunque tenere gli occhi aperti per imparare qualcosa, per sentire queste emozioni, maestre, perchè probabilmente ci sono delle lezioni che non ho imparato.
E questo va ammesso, che c'è da imparare.
Ma non è bello pure questo?

Ricordati senza mai davvero cambiarne la verbalizzazione:
"Tu sei il detonatore sociale".
Ricordatelo come quando al primo colloquio un direttore creativo ti disse che nel tuo portfolio non c'era un briciolo di idee. E lo stesso direttore creativo dieci anni dopo (ma lui non lo ricorda) ti manda una mail per congratularsi con te che sei diventato cco con tanto merito.

Il bello, almeno per me, sta nel credere che se sei un pezzo di merda, alla fine i nodi vengono al pettine. Viceversa, se sei una persona in fondo buona, qualcosa che mette in equilibrio le ingiustizie accade.
Accettarlo come si manifesti l'equilibrio è parte della crescita, ed è forse questa la cosa più difficile da mandare giù, perchè non sappiamo mai come si possa manifestare.
La parola che più odio, è quella che più mi balla intorno da anni: compromesso.

Ohioi, che casino.

domenica 14 gennaio 2024

Cactus di domenica.

 

La colpa è mia che non so dire ciao.
A 41 anni ormai si riesce a fare una tara per capire quando c'è qualcosa che davvero o ti viene male o ti viene no, cioè non ti viene.
Nel mio caso, la vittima resta sempre la stessa. La mia persona.

Staccarsi di dosso le cose non è il mio forte, nel bene o nel male, con tutte le loro sfumature.
E ne parlo mentre dietro di me, zitto zitto, ci sta un cactus.
Credo sia l'ultimo scherzo della mia mente, della mia vita e della sua ironia.
Oppure, come cosa più plausibile, è solo l'ennesima sbagliata considerazione dei fatti fatali della mia esistenza.
Oppure, e questo più romantico o patetico, il solo modo di far restare viva un'emozione che di emozione ormai non ha nemmeno più il ricordo. Tanto passata, tanto schiarita, tanto ormai caduta nelle profondità del mio stomaco, dell'intestino, al limite dello sfintere, senza però essere capace di lasciare, appunto, il mio corpo.

Che sia colla o merda, purtroppo non si toglie dal mio corpo.
Una lieve analisi poco superficiale fatta da me medesimo nei momenti morti mi sussurra all'orecchio che non è come mi costringo a pensare. Mi dice, quasi commossa, che niente è vero di quello che sento, ma che la sola necessità che ho è di avere qualcosa che mi faccia compagnia per davvero, in assenza di altro, un cadavere è comunque qualcosa che alla fine può coprire il vento quando fa troppo freddo, o ti lascia mezzo cono d'ombra quando il sole ti infastidisce gli occhi.

Avere la compagnia, o un sogno irrealizzabile è un compagno, un amico dal quale non so separarmi. Non importa il fine, importa che lui sia al mio fianco, importa che lui mi dia uno scopo, che in questo caso, e sono pazzo lo so, è non avere qualcuno da amare veramente. 
No, non è così, l'ho scritto male.
Meglio scritto o sentito è tipo che in fondo ciò che sogni ma che non raggiungi è quasi come avere uno scopo, e se il raggiungimento di un sogno è uno scopo, forse basta avere quello, non il fatto concreto di poterlo raggiungere per davvero:
Quasi come avere voglia di volare, e non voler prendere il brevetto, nascondendosi dietro al fatto che quello che si vuole davvero è librare nell'aria.

Forse così io, credere e aspirare nell'impossibile, solo per avere qualcosa di cui lamentarsi, qualcosa da rinnegare, solo per il fatto che non si riesce davvero a toccare con mano.

La questione è tormentata, meglio spinosa.
Perchè comunque parlavamo di un cactus, quello che sta dietro di me.
Che è piccolo, che è/era un regalo, consegnato con un foglietto piccolo, più piccolo di lui, e su quel foglietto c'era una richiesta, un piccolo grande obbiettivo: Love me.

La mano che lo ha regalato è sparita:
Il cactus è lì.
Io le piante le curo zero, ma mi piacciono i cactus.
Ne ho sei. Lui, il più piccolo, l'ho sempre considerato, dopo le faccende della mano sparita, come il figlio illegittimo, il figlio della serve.

Guardavo gli altri con apprezzamento, parlavo con loro meravigliandomi di loro e di me del fatto che stessero crescendo, che la loro punta diventasse di un verde più chiaro, che facessero (come fanno) delle piccole foglioline.

Lui, anche se non è italiano dirlo o scriverlo, non lo parlavo.
Ci passavo davanti e mi infastidiva, era una presenza scomoda, più spinosa della sua natura.
Sì, per giustizia ha avuto la stessa acqua degli altri, sì, è stato messo in un punto di casa dove l'alternanza luce ombra gli restituiva la sua dignità.
Ma mai un gesto di rispetto e di amore.
Lui è sempre stato come l'ospite di un albergo, ti guardo, ti tratto da cliente, ma il bene è una cosa diversa. E cazzo tutti sanno che le piante queste cose le sentono.

Invece, lui, sto stronzo testardo, di punto in bianco, ha iniziato a cambiare colore sulla punta, si è tirato su, sulla schiena, e senza alcun bisogno di parole d'affetto, lui maledetto bastardo, sta crescendo.

Cresce, in barba a me, al fatto che non ci parlo, alla faccia mia e di quelle due tre volte che mi sono fermato davanti a lui con lo sguardo teso e incazzato, e con gli occhi spalancati gli chiedevo: che cazzo vuoi? Che cazzo ti cresci? Perchè cresci? Perchè lo fai? Perchè non muori come tutto quello che rappresenti? Perchè non muori come tutto quello che è rimasto dietro?

La sua risposta è stata la testardaggine, non curante di me, della mia violenza verbale, lui ha continuato e continua a crescere. Se ne batte i coglioni di me, di quello che voglio e di quello che penso. Si fa sempre più forte delle sue spine che piano piano diventeranno sempre più arroganti. Fottiti, mi ricorda, ogni volta che lo guardo.

Io lo guardo e lo odio ogni giorno di più, una forma d'odio che, come poche cose nella vita, fa il giro. Lui sa che lo odio perchè è la cosa a cui tengo di più in questo momento della mia vita.
Perchè sono fragile e imbecille, perchè penso che lui sia una impossibile speranza, perchè sono un deficiente, appunto, uno che pensa che un cactus regalato, possa essere il filo al quale si lega una storia morta. Ma siccome lui resiste, allora, il mondo, il fato, il destino, cerca di dirmi qualcosa.

Che mi dice? Guarda che anche dal male alla fine ne esce forse ogni tanto qualcosa di buono.
Il cactus cresce, te ne stai prendendo cura, sei capace, sii felice di questo.

Invece penso, come un coglione a tutto tondo, che quel cactus sia un sentimento che unisce due persone, che per quanto lontani e probabilmente con niente più in comune, però si tengono a mente.
Ed è qui che mi sento un demente morto di sogni impossibili.
Uno che i film non ha bisogno di andarseli a vedere al cinema, perchè tanto basta semplicemente guardare quelli che si fa nella testa bacata. Il biglietto è anche gratis.

E quindi provo due sensazioni della medesima intensità, ma diametralmente opposte.

La mia testa chiede letteralmente pietà.
Non ne può più. è sfiancata dal loop, dai medesimi pensieri e domande, che partono da due occhi infinitamente profondi e blu, carezzati da un vento leggero e caldo che portava solo serenità, a questioni grandi come il cosmo, che cambiano gravità in base al pianeta sul quale si poggiano. Il pianetà solitudine, il piabeta felicità, e il suo incompreso e confuso satellite chiamato soddisfazione.

Il cuore. Non fosse il mio ma di un'altra persona, gli farei i complimenti.
Essere scemi a volte porta una resilienza infinita. Per quanto possa essere orientata nel modo sbagliato, la resilienza è davvero una tra le cose più eccezionali che esistano.
Credere, ostinatamente, nel nulla di niente. Come credere in Dio o nel viaggio nel tempo dei buchi neri, essere convinti che esistano gli alieni, essere convinti che ognuno di noi abbia uno scopo. Ecco, fesserie di sto tipo. Eppure rendere lode ad un cuore che non sa nemmeno chi lo possiede dove possa trovare la forza per battere in quel modo, quando, nel silenzio di una giornata, bella o brutta che sia stata, si emoziona per un dettaglio.O meglio il ricordo di un dettaglio,
Le punte nere corvino di capelli lisci, una macchia verde scomposta e piccola sul lato di un'occhio blu profondo oceano, dove solo i pesci più grandi e silenziosi possono nuotare.
Bello, forse no, notare che quella punta di blu è al limite col nero, dove i pesci sono ciechi e per vivere, ogni organismo lì infondo ha bisogno di piccole lucette, anche solo per ricordare di esistere. Perchè quel buio può farti dimenticare chi sei. E non penso sia poi così bello.

Si può sudare amore? Mandarlo via così.
Un cactus non ha bisogno di tanta acqua.

Arido e pungente.
"Tu sei una foresta pluviale, io un cactus".
Si era del tutto vero, ma quello che non hai mai capito, cactus oppure no, e forse è quello il mio più grande errore, è che in una vita dove avevo dato quello che avevo a cose che in fondo erano per me (e non avevo ricavato felicità alcuna in cambio) tu, finalmente, mi stavi per salvare.

L'avevi capito? No, o non credo, o non so.
Per questo alla domanda "ma quanto ha investito in questa cosa?" seguito da un Santa Pace, la risposta è niente, perchè mi era venuto così naturale darti tutto.
Perchè che tu fossi un cactus era evidente, a tratti, e non quando eri vicina, ma un cactus può fiorire, e io ce l'ho messa tutta.

E adesso il piccolo cactus qui dietro cresce, vaffanculo gli ho anche comprato un vasetto più grande, mi so sporcato le mani e ho sporcato il cesso, ho fatto un cazzo di casino e mentre ficcavo le mani nella terra e invasavo mi giravano solo i coglioni a morte. Sì mi girano costantemente i coglioni a morte. 
Sono arrabbiato e spinoso, ma con nessuna delle cose che succedono. Se subisco uno sgarbo, in fondo in fondo, a me non frega un cazzo, perchè la rabbia che ho dentro non lascia spazio per altro, per niente e per nessuno.

Le cose che accadono vanno a sommarsi ad una cosa che non voglio chiamare dolore, la chiamo mancanza, che ho dentro e che vede solo in un cactus il solo modo di renderla tangibile.
Tangibile, bella parola per un cactus, che manco se po toccà.

Passo le ore dei miei pensieri placandomi con consigli in cui non credo:
"Sei possessivo".
Cazzo non è vero.
Evito, per quello che mi riesce, il contatto.
Per il terrore funereo, o vedovale (non so manco se si dica così) che a te succeda la stessa cosa. 
Come se il fatto di non farlo io, muovesse un vento che spinge te a non fare niente.
Ecco, questa è la mia stupidità, essere ancora innamorato di te.
E tu no, e tu no e tu no e tu no. Me lo ripeto tutto il giorno nella speranza di abituarmi, di cambiarmi, di liberarmi, da te e dalle fantasie, dai quei due tre ricordi spiccioli, da me che non riesco a sollevare il culo dalla panchina di marmo della stazione, dal senso di impossibilità di muovermi, e ho ancora un solo stupido rimpianto, il solo, perchè altri no, ma questo sì, perchè non sono salito su quel treno? sarebbero stati 25 minuti in più, di verità, di bene, fammelo dire, di amore vero. Perchè dopo quel treno, una tempesta di vomito e merda ci ha semplicemente travolto, o almeno ha travolte me.
Ho un buco perenne nello stomaco, mi batto una pacca sulla spalla quando realizzo che magari per mezza giornata non mi sei venuta in mente "bravo Diego, hai visto che è possibile". Tu? Lo fai? Forse prima, per me adesso no. Se sei come me, ma dubito, sì. Ma non sei come me.


"Chi ti pensa ti cerca"
"Chi ti ama ti scrive"
"I comportamenti, in caso di assenza della parola, sono una risposta"

"Sarò felice per te qualunque cosa farai".
Bene, io no.

No, non sono felice se ami.
Non sarò felice se amerai.
Volevo essere io. Lo volevo, cazzo, tutto per me.
E non ce l'ho, non lo avrò.

Ho un cactus, che cresce, fin quando vorrà. E mi devo e posso tenere solo quello.

Non c'è goccia, non c'è pillola, non c'è respirazione che tenga.
C'è un cactus, pieno zeppo di spine.

venerdì 8 dicembre 2023

Il pescatore di sogni.

 

Prima di andare a dormire faccio due cose, da qualche tempo.
Prima mi riconglionisco su tik tok.
Poi leggo qualche poesia.
Il tutto può essere chiamato miscuglio di sangue e merda, che è tanto il riassunto di tutti i giorni.

Stranamente per una volta i ruoli si sono invertiti.
Forse perchè su Tik Tok non ci sta solo gente che balla o che fa tutto quello che più disprezzo e non capisco.
Sta di fatto che, l'altra sera, un tizio, o la voce di un tizio, su uno sfondo di montagne verdi e fiumi dall'acqua cristallina, mi diceva, e sicuramente lo diceva solo a me:

Per apprezzare la vita devi circondarti delle persone che più vogliono farne parte e
non sentire la mancanza di quelle che invece se ne vanno, decidendo di non volerci stare.
Continuava dicendo anche altro ma non me lo ricordo, perchè,
il mio primo ovvio pensiero è stato: mavattenaffanculo va.

Eppure.
Eppure è quasi tutto il giorno che ci penso.

Ah no, diceva anche che dobbiamo essere grati ogni giorno verso tutto quello che abbiamo.
Sì, ecco, diceva anche quello.

Sì, è tutto tremendamente banale, sta di fatto che è quasi tutto il giorno che ci penso.

E, non so perchè, mi ha fatto venire delle immagini in testa.
Immagini che non potrebbero avere nulla a che vedere con quello che intendeva sto tizio.
O forse sì.

Quando quella voce diceva quelle cose, secondo me, quella voce, non pensava al fatto che avrei potuto pensare a me, sì, a me, che scendo dalla macchina, dopo aver parcheggiato in doppia fila, per poi chiudermela alle spalle ed entrare al supermercato.
Sì, al supermercato.
Subito dopo ho pensato. a me, ma guarda il caso, che premo il pulsantino del telecomando e la chiudo, dopo averla parcheggiata (in modo da prendere una multa) poco distante da casa, e verso quella casa, io, nel silenzio, seguendo il ritmo dei miei passi, me ne torno.

So perchè l'ho pensato.
E so di esserne grato.
So di accorgermene praticamente tutti i giorni.
Ma per un motivo lontano da quello che pensa quella voce.

L'ho pensato perchè lo pensavo già cinque sei anni fa, quando ero seduto sul divano a L, in una città diversa, dove si parla una lingua orrenda. E da seduto, a volte fissavo la finestra per vedere se il cielo fosse azzurro, e anche se non lo era sapevo che stavo guardando quello spicchio di nuvola per un motivo diverso.
Il motivo era, come è, che io non ci credevo, come non ci credo adesso.

Non credevo, in quel momento, che quel divano sul quale ero seduto l'avevo comprato io, con i miei soldi, come tutti i mobili di quella casa. Non credevo a quello che stava succedendo, nonostante lo avessi fatto capitare io. Non credevo vero che dal mio conto in banca, o che il mio conto in banca, potesse tramutarsi in quello.
Sì, lo so, è il pensiero più stupido del mondo, lavori, ti pagano, compri cose.
Eppure, anche se ero io a farlo, mi chiedevo, spesso: ma davvero l'hai fatta tu tutta 'sta cosa?
La risposta era evidente, c'avevo il culo proprio sopra alla risposta.

E così accade quasi ogni fine giornata, quando scendo dalla macchina (che per giunta non è manco mia, me l'hanno data come bonus), o quando ci risalgo, magari con le buste della spesa.

Sì, non posso dire di non essere fortunato.
Sì, non posso dire di non capire che c'è davvero un fantastilione di persone che stanno messe poco, mediamente, tanto, tantissimo peggio di me.
Quindi sì, so farlo il giochino del "grazie".

Non lo so esattamente dove voglio arrivare.

Il punto è che seppur io tutto queste cose le so, mi frega il punto 1, di quello che ha detto la voce di Tik Tok.
Perchè sì, è vero, ha ragione la voce di Tik Tok (che ho iniziato a scrivere in maiuscolo) sta di fatto che però se tutte le cose per cui ti senti fortunato e grato, stanno a lì a ricordarti che sei cresciuto solo nel senso dell'autosufficienza, allora, quelle cose, a notarle, ti fanno più male che bene.

Sì, è vero, come la voce di Tik Tok, che sono un morto di sogni.
Sì, è vero, la voce di Tik Tok ha ragione, chi non vuole stare nella tua vita, non merita il tuo bene, quindi uno potrebbe serenamente smettere di pensare.
Alla fine pensare a qualcosa o qualcuno, non è una scelta?
Boh, forse sì, forse no.

Sta di fatto che se tu avresti voluto mettere quel qualcosa o qualcuno dentro tutte le cose a cui sei grato, come possono loro non farti pensare a quella persona?

Lo dico per un amico eh, figuriamoci.

Io manco sapevo che avrei avuto tutte queste cose.
Io, giuro, ridarei tutto indietro per una cosa che sto pensando in questo esatto momento.
Lo giuro, faccio anche due passi indietro. Promesso.

Letterina a Babbo Natale.
Caro Babbo, due passi indietro in cambio di quello che sto pensando.
Se sei buono, e vedi che sono genuino, fammene fare uno solo (già sto barando)
Grazie.
A presto
Diego

Salire e scendere da una macchina (non mia) come simbolo di te che diventi più grande, di te che hai più responsabilità, di te che diventi, semplicemente, più vecchio.

Volevo anche scrivere questa cosa sennò me la dimentico.
Credo sia più una domanda:
Che senso ha pensare a cosa metteresti nella tua vita, se una parte di quelle cose non ci vuole proprio stare dentro?
Mi spiego meglio, quale è il sottile limite tra "vorrei che fossi parte di tutto questo"  e "anche io sto facendo qualcosa in cui mi piacerebbe entrassi", ma le due cose sono incompatibili?

Non si capisce quello che ho scritto, ma ho capito io.
Erano due cose diverse, una è l'incompatibilità dei futuri.
Altra il fatto che qualcuno non ha interesse a far parte di un progetto.

La seconda si risolve facile.
La prima sono più dolori che altro.

Ci si può scannare inutilmente? Probabile.
Può il tempo sanare? Probabilmente sì, ma una cicatrice è una cicatrice, e la pelle non torna mai come era prima della ferita. C'è sempre una maglia di pelle in più o in meno da qualche parte.
Ahimè, già, la vita è fatta di millimetri, e maglie in più o in meno.

La cicatrice forse sta lì solo per ricordarci due cose, credo io:
1 hai sbagliato
2 Almeno c'hai provato

Non credo che una cicatrice sia in grado di non farci commettere più gli stessi errori, credetemi (tanto non legge nessuno) mi sono rotto 3 volte il polso, quasi sempre nello stesso modo.
Non si impara mai, ne con il polso, ne con il cuore.

Quindi scendo dalla macchina e sono più grande, quando la chiudo sono più grande, e dovrei essere grato di averla, o di essermela guadagnato:
Di non prendere l'acqua in inverno quando piove o di non dover portare la sacca da tennis in giro ovunque. 
Giuro lo sono.
Solo che quel posto vuoto, vicino al guidatore.
Proprio quando, cazzo, tutto sembra vicino alla perfezione, anche se non lo è non importerebbe.
Serve a qualcosa essere grati delle cose, per conto proprio?

Si può essere grati di poter fare la spesa?
Sì certo.
Come di avere tutte le cose più inutili?
Penso di sì.

Forse sono le cose di cui vorrei essere grato, che mi mancano.
Perchè non le ho.


Ho tutto quello che posso.
Non ho tutto quello che vorrei.

Come la spiego questa cosa?
Semmai davvero rileggerò sto blog quando avrò 80 anni (se c'arrivo, se ancora esiste sta pagina, se ancora esiste internet, se ancora esistiamo tutti), capirò o semplicemente ricorderò questo sentimento che adesso mi pizzica il centro esatto dello stomaco?
Poco sotto l'ombellico. In un punto preciso, fa un vortice di budella.
È la verità che si allarga, fa il cerchio e traccia un territorio, quello intorno al quale si creano tutte le insicurezze che sento dentro di me.

Umanamente, o meglio, sentimentalmente, non ho raggiunto alcun obbiettivo di quelli che mi ero prefissato, o meglio, che immaginavo per me.
Chissà perchè avevo deciso che avrei voluto un figlio a 28 anni.
A 28 anni ero da poco tornato a Roma, e sarei ripartito due anni dopo.
Facendo rigirare la trottola.

Non ho avuto mai una vacanza con una persona di cui ero davvero innamorato.
Che poi perchè "davvero innamorato"? Mica esiste innamorato "per finta", va bè.

Ho convissuto per massimo 7 mesi con due persone diverse.
Nessuna delle due davvero voluta, davvero sentita.
Tornando indietro non so manco perchè è successo.

Non mi ero prefisso di ficcare un anello nel dito di una ragazza, ma di mettere l'orecchio sul pancione sì. 
Avere gli occhi addosso mi funziona solo quando sono in presentazione (sto parlando di lavoro), prima mi piaceva anche festeggiare il mio compleanno e lasciarmi distrarre dalle attenzioni.
Adesso, Dio te prego, scappo tutta la settimana. Quindi figuriamoci un matrimonio.

Ecco, se proprio devo, di quella cerimonia, immagino solo tre cose (se fosse proprio canonica), i tre momenti che vorrei segretamente ritagliare solo per me e sta povera disgraziata.
Il momento in cui glielo chiederei. Lo immagino spesso, e ogni idea mi sembra sempre più scema, più bella, più "ma che cazzo stai a dì", più "tanto le proposte le fai solo nella testa tua".
Ma giuro su tutto quello che ho: casa ancora della banca per altri 26 anni, qualche quadro, i mobili e un conto in banca migliore di due anni fa, che nella mia testa sono bellissime.
Una lettera che le leggerei solo a lei prima (la notte prima, poco prima, non lo so, comunque prima).

Che poi non so se queste due cose sono legate, perchè penso che per la prima volta scriverei quello che vorrei dire (anzi la seconda, la prima è stata per il discorso da testimone di mia sorella, non sono voluto andare a braccio).
Mia madre era lontana, non avevo un microfono, ancora si lamenta che non ha sentito un cazzo.
Dettagli di una serata in cui tutti erano ubriachi, tranne me.
Era Natale e a Roma, quella sera, facevano 21 gradi.
Ci credereste?
Sono tornato col taxi con le maniche della camicia rovesciate manco fosse i primi di Giugno.
La vita cambiava, da lì a poco, di brutto.
Posso e devo essere grato anche per questo? Sì.
In fondo sono anche zio (due volte).
E mi vesto da Babbo Natale, da tre anni.

E sì anche se il Natale non mi va a genio, ma solo perchè sono io che non so far nevicare, alla fine è giusto ringraziare anche solo per il fatto di vedere qualcuno che davvero ci crede quando scrive la letterina di Natale, a Babbo. (L'ho fatto sopra, ma col cazzo che, ecco, ci siamo capiti).

Cose di cui non sono grato:
la gente che mi sopporta.

Cose di cui dovrei esserlo di più:
La gente che mi sopporta.

Segue una lista randomica di cose di cui non sono grato, ma che c'è un motivo:
a mia sorella perchè m'ha fatto zio (il ciclo della vita la rende una cosa normale)
forse dovrei essere più grato a me stesso, mi faccio un sacco di culo e ultimamente mi coccolo.

Ma non sono per niente grato a quella specie di essere umano tardo-adolescente (anzi in piena adolescenza) che da anni ormai (senza pagare l'affitto) vive stabilmente dentro di me.

Continuerei a scrivere per ore, ho anche trovato la canzone giusta.
Sono stanco, ho la pancia piena di nei, la bocca piena di imprecazioni, la testa piena di onde, il cuore pieno solo d'aria.
Il dottore ha detto che "io non vendo medicine" e continuando ha detto "se sta bene senza la cura può continuare così, figuriamoci, sono sorpreso perchè mesi fa diceva che non avrebbe voluto smettere".
Solo che mi sento nervoso, ogni giorno di più, c'è qualcosa che fatica ad andare via, è appiccicato alla mia pelle, sta nel sotto pelle, è come colla, è come quando provi a togliere la carta da parati dal muro. Me la sento dentro, non si stacca. A volte la guardo con disprezzo, a volte la guardo con sfiducia, a volte con rancore, la insulto, quella carta, per poi sentirmi in colpa, la osservo con tutta la disillusione del mondo, vorrei (se fossi capace) staccarla con le unghie se necessario, eppure è lì. Perchè sono sempre io che, a tratti, ho male nel toglierla da lì, e questo mi fa sentire tremendamente solo, e stanco. Stanco di illudermi, stanco di fare di me narrativa spicciola, un uomo-ragazzo (ora pure sovrappeso di qualche chilo da buttare via) prende a cazzotti le nuvole, che chiede ai sogni di spegnersi, che tanto non si avverano, un dolcino che di quella dolcezza non ci fa davvero (e stavolta davvero è giusto) niente di niente.

Eppure, eccoci qui, a scendere dalla macchina a fare la spesa:
E non trovo la morale, di quello che ho scritto.
E se non la trovo vuol dire che ancora non so quello che sto scrivendo, così come non so quello che mi accade.

E quindi, è come tutte le cose, quelle che capisci ma non capisci, ma che spieghi solo in modo, che tu ne sia grato o meno: è così.

domenica 26 novembre 2023

Dido.


Tra le diverse cose che si imparano ad odiare, c'è la domenica sera.
Dentro "domenicasera" ci sono un sacco di cose che odio, forse più della domenica sera (senza maiuscola).
Queste cose potrebbero tranquillamente stare dentro tutte le sere, ma almeno con me, si affacciano tutte di Domenica.

La odio d'inverno, d'estate, a primavera.
Che faccia sera tardi o presto non me ne frega, anche quando la luce sta il giusto.
Non centra niente la scuola, il lavoro.

La verità è che la domenica non c'entra niente.
Ho cambiato canzone mentre scrivo e l'ho capito.
Sono arrabbiato. Con tutti e quindi alla fine con nessuno, o meglio solo con me.

Sono felice di vaer smesso la cura. Sì, l'ho smessa, senza seguire le indicazioni, senza chiedere il permesso. Dimenticandomi di prendere la pasticca la mattina. Tempo fa appena aprovo gli occhi era la prima cosa che cercavo.
Adesso me ne dimentico.
Il fatto di dimenticarmene mi ha portato a credere che mi sto dicendo qualcosa, che non mi serve più. Che quel milligrammo di qualcosa, non ha più senso. non ha motivo di ficcarsi nella mia pancia aiutando me stesso ad essere più centrato.
Quindi, davvero, grazie ma ciao.
Il dottore non lo sa. Dirà che non va bene.
Dirò che tra i tanti poteri magici di quel milligrammo, a me ne serviva solo uno, quello che lui non può darmi. Sì è vero, stanchezza per stanchezza mi ha rimesso in piedi. Ha chiuso il rubinetto, in tutti i sensi.
Non che voglia tornare ad essere la versione "Fontana De Trevi" di Diego, ma quella versione chimica di serenità ha dato tutto quello che può, non posso chiederle di più.

Le goccette? Uguale, salutiamo anche quelle.
Contarle cadere sulla lingua come le pecore con la testa sul cuscino, arrivare a venticinque ogni sera, e spegnermi in un niente.
Un grazie sentito anche a loro, ma loro, più questo che hanno fatto, anche bene, non possono.

È vero, se volessi, questa rabbia soppressa, loro potrebbero alleggerire, allontanarla, ma se tanto è solo grazie alla chimica che riesco a difendermi, allora è il caso che mi rimbocchi le maniche e semplicemente accetti che i capricci sono dei bambini, non degli adulti.

Faccio i capricci? Faccio i capricci.
In passato mi sono trovato a lamentarmi e scagliare sassi contro la fortuna o verso il destino avverso. Ho imparato che solo davvero poco, alla fine, dipendeva da quello.
Ho imparati a farmi da parte, in silenzio, andare avanti.
Ad andare avanti, ho capito, bisogna essere capaci.
Questa capacità al momento non è ancora pervenuta del mio curriculum vitae.
Pare proprio di no.

Incapace di odiare.
Incapace di sotterrare l'ascia.
Incapace di saper fare tutto quello che mi aiuterebbe a non essere nervoso adesso.
Incapace di bloccare, abilissimo nel lasciarsi bloccare, però.
Facile vè?

Incapace di accettare le cose come vengono, e di morirle per come capita.

Ancira non ho scritto mezza parola di quello che c'ho in testa, e me la sono grattata almeno due volte. Manco più qui riesco a scrivè quello che mi dice la pancia.
Alla mia pancia girano i coglioni.
Prenderei, prenderebbe, a pugni qualunque cosa.

La verità è che io così non ce la faccio.
A scopare così.
A girare in macchina così e andare dove vado.
Non ce la faccio a prendermi occhi dolci e complimenti.
Non ce la faccio a sentirmi chiamare in modi carini, dolci o dolcissimi.
Non ce la faccio a prendermi le attenzioni.
Non riesco a svegliarmi con qualcuno vicino, cioè ci riesco, che è diverso da farcela.
Tra fare e riuscire ce passa un fiume chiamato verità.
Come se steste leggendo una bestemmia.
Non ce la faccio ad uscire e andare a cercare parcheggio per poi mangiare da te.
Non ce la faccio a programmare con il cervello diviso in due.
Me che non esiste e un me che sta chissà dove affanculo nello spazio.
Non ce la faccio a pensare ogni momento che sto perdendo quel momento, che perdo tempo.
Riesco a non vivere perfettamente tutta la vita (bellissima) che ho davanti.

Adesso pure la psicologa vuole parlare solo di lavoro, dice che lo stress sta lì.
Dice.
Mi so quasi rotto pure di comprare vestiti.
Sono tutti così belli che mi cambierei due volte al giorno.
Ho speso così tanti soldi in questa stronzata che avrei potuto comprare due quadri fatti bene, o anche non comprare niente. Tenerli come li tenevano i nonni, per la vecchiaia, quando erano già nonni.
E ogni volta che mi incazzo penso sempre a quello che dice lo psichiatra:
Lei tra quello che c'è e quello che vorrebbe, sceglio sempre quello che vorrebbe.
Solo che quello che vorrebbe è inarrivabile.
Quindi lei in realtà sceglie una cosa che non c'è, quindi sceglie il niente.

Solo che a me sto niente mi tiene come la briglia il somaro.
Come un padrone il cane.
Come la fede il dito innamorato.
Come uno stronzo, il chiodo, al muro.

Ed è tutto un parallelo di finsione, di film che stanno solo nella mia testa.
Poco conta se sia veri oppure no.
Conta che li sento come catarro sui polmoni, attaccato alla trachea.
Un senza alcun senso, che più effetto non potrebbe avere.

Mentre scrivo, penso, se solo quella poraccia leggesse ste righe, che penserebbe?
Che penserebbe di te. "Tu non parli mai di te. Io sono un libro aperto".
Mi do un fastidio che mi prenderei a mazzate sui cojoni.

A tutto manca sempre qualcisa, anche se è in realtà, agli occhi di un profano (della mia mente) la cosa più semplice e carina del mondo. Che se uno non cercasse il neo, come le persone normali, dovrebbe solo prendere e ridere, prendere e ridere, prendere ridere e ringraziare, e magari vivere, viversela.
Invece? Invece col cazzo.

Voglio entrare nel corpo di uno capace di prendersi per il culo, o che con leggerezza, passi senza passare dal via, di palo in frasca, da destra a sinistra, da una cosa all'altra, come le scimmie gibbone, a cui basta solo avere un ramo, qualunque esso sia, per lasciare quello a cui erano legati, fosse da anni.
Lo sono mai stato? Cor cazzo.
Lo diventerò mai? Cor cazzo.
Sarò mai capace di dedicarsi ad una cosa se dentro l'anima sua anche ci sta il più piccolo alone de zozzeria della cena della sera prima? Cor cazzo.
Senza lavanderia, senza bianco, non se riesce. 
E da solo non so lavare. Lo giuro non so capace a lavare i panni.
Quelle due volte che è successo, sulla strada ormai senza speranza, s'era aperta una piccola bottega. Così piccola che c'era spazio solo per me e per la persona che voleva lasciarmi entrare.
Così, pur avendo panni sporchi nei nodi del tessuto, pur non credendoci, e senza doppia formula, la camicia era tornata linda, pure e pronta per farsi macchiare.
L'ho indossata senza bavaglino, senza paura di imbrattarla e lasciarla imbrattare.

Ma da solo no. Pure se sto alla foce, a lavare i panni zozzi, a me, non me viene.
Sai l'olio? Quello. Per me i miei sì, i miei sorrisi spontanei, i miei impegni e quei due tre pansieri di felicità, sono olio, olio su camicia. Bell'opera d'arte.

Mi faccio na camomilla, vaffanculovà.

 

sabato 11 novembre 2023

CCO o CCCP

 

Tra le cose che non hai scritto ma che devi ricordarti, è che la corsa non si è fermata ad aspettare che il tuo cervello tornasse a girare come dovrebbe.

Il tempo è passato, sole luna sole luna sole luna sole luna che fanno il giro tondo.
Chissà se un giorno riusciranno davvero a prendersi per mano, a fermarsi anche solo due minuti e tutti noi resteremo col naso verso l'alto. Ma che cazzo ne so? Soprattutto, che cazzo centra adesso? Boh.

Una donna dai capelli biondi ed una borsa verde di pelle gommosa, ti messo un lecca lecca su un vassoio d'argento. L'hai preso. Non sapevi esattamente che gusto avesse ma hai scelto comunque di provare. Conoscevi quanto dolce poteva essere ma non sapevi anche quanto amaro potesse diventare di tanto in tanto.

La tua persona adesso, qualcuno, la chiama "C level". Più brutalmente per descriverti a quelli che conosci, gli altri, usano tre lettere, tu continui ancora a dire "basta dire Diego che va bene lo stesso". Il giorno che accetterai chi sei, o che semplicemente cresci pioveranno rane.

Sì, hai iniziato a giocare a "gira la moda". Sì, ti diverte.
Sai pure perchè succede, ed è meno divertente saperlo.
Ti coccoli, ma quando lo fai il tuo stomaco ti dice due cose, sei un vanitoso, e il cervello conferma, ma il cuore ride spensierato; il secondo pensiero è più cattivo, affonda come lama bollente nel burro, "non sarebbe mai così se fossi completo in quel modo", lo stomaco brucia, il cervello (come se ne avesse una) scuote la testa, il cuore semplicemente "ha appena lasciato la conversazione".

Citazione della settimana: "tu sei troppo pure Diè, resta in silenzio, parlo io per te".
Citazione del mese: "Lei non deve prendere tutto quello che succede in modo personale".

Cose che non vanno via, manco se uso lo sgrassatore:
"Io con te sono felice come quando mio papà a Natale si vestiva da Babbo Natale e io lo scoprivo"
"Io sono una cosa tua".
"Tu sei dolcino" (se l'avevi capito come mai l'hai preso a cazzotti sto lato?)
"Fai le tue valutazioni"
"Mi manchi come se mi avessero tolto il braccio destro".




Ho un pensiero fisso sempre uguale, la mattina quando mi sveglio e la sera prima di andare a dormire. Praticamente questo pensiero è come se fosse i due estremi di un braccialetto, quello che te lo lega sul polso in maniera indelebile. Il pensiero sono i gancetti, il braccialetto è la giornata.
A questo braccialetto si attacca un pendolino, come fosse una scheggia di sanità mentale, o meglio un briciolo di infame verità, ovvero che ogni volta che faccio quel pensiero, da un'altra parte del mondo, dove il fuso tiene l'orologio un'ora indietro, il soggetto di quel pensiero è lì che se la vive, semplicemente, la sua vita, la sua avventura, come è giusto che sia, come fa più male, a me, che sia. 
Chiedersi se mai mezza volta il vento che soffia tra i pensieri porti verso di me.
Chiedersi se davvero nell'andare avanti, tutti e due, senza sapere niente di entrambi, renda entrambi più felici o almeno, semplicemente, sereni.
Non sapere se ho il raffreddore, se ho bucato un calzino, che non trovo il carica batterie per la trecentesima volta, se ho ascoltato o meno una canzone.
Vivere di una vita dove le emozioni ci sono e vanno solo prese, ma prenderle e non vedersi acchiapparle, senza dubbio non condividerle, affatto.

Ricevere un libro, che avevi già letto, e finire con la testa ad una frase "poi si diventa due noti sconosciuti". Quindi prendere quel libro e regalarlo alla persona che meno sopporti tra tutte quelle che conosci. Perchè di vederne la costola o lo spigolo tra copertina e pagine apre una serie di "vaffanculo" che non possono essere detti ogni santo giorno.
Perchè chiedersi: ma perchè? Senza avere mezza risposta, o meglio ricevere un regalo che è pieno di parole, ma privo di quelle che servirebbero almeno per, boh, evitare un vaffanculo al giorno, è davvero la cosa peggiore possibile.

Frase degli ultimi mesi: "Lei conosce il detto Giapponese? Loro si mettono sul fiume seduti e con pazienza aspettano il cadavere".

Domanda del mese: "cosa c'è di quello che non fai che faresti?"

Amore crescente per il prosecco (Valdobiadene o Franciacorta) rigorosamente Brut.
Prima ero convinto che secco fosse Dry.

Canzone del semestre: "Scooby-Doo" Pinguini Tattici Nucleari.
Canzone specchio del semestre: "Rave ed Eclissi".

A breve è Natale e già sento che inizia a pizzicarmi la pelle:
Amico per la pelle del semestre: Xanax (che Dio lo abbia in gloria)

Miglioramento del semestre: rovescio lungolinea.
Dramma del semestre: attacco di dritto, sia incrociato che lungolinea.

Miglioramenti comportamentali: pazienza, a tratti è perenne, a tratti aiutata sinteticamente.

Posso sapè perchè me sei capitata?
Se poi doveva esse così. Perchè?






venerdì 10 febbraio 2023

Un SACCO di cose.


Questa cosa te la devi davvero ricordare.
Anche se dubito che la dimenticherai mai nella tua vita.
Ma se questo ormai è un diario, allora, se, nel caso fosse, te lo rilleggerai è pure giusto che possa rileggere quello che è, non quello che ricordi di quello che era.
 

Eri in macchina che andavi alla tua festa di laurea, ha squillato il telefono, eri all'altezza del passante nord, poco dopo il Gemelli. Quella telefonata, in un modo o nell'altro, t'ha cambiato la vita.
Il giorno dopo, o forse due, ti sei ritrovato sul terrazzo di casa e guardavi i palazzi lontani, quelli che avevi visto due milioni di volte. Ti eri appena laureato, prima dei 25 anni.
"Quello che c'è qui lo so".

Quello che è successo è che, anche per quella telefonata, tu hai fatto le valigie e ti sei messo in testa che avresti voluto fare il pubblicitario.
Avevi già discusso la tesi sul più stronzo degli argomenti legati alla pubblicità solo per mettere piede nelle agenzie.

Hai preso il treno in due settimane, alle 6 di mattina ed è cominciata la corsa.
Una corsa frenetica, asfissiante, infinita.
Hai lasciato l'amore alle spalle. Ti sei fatto male.
Hai imparato, in quel modo, che eri capace di farti male, che se ti tappavi il naso, potevi andare avanti ed attaccarti solo al tuo sogno.
Così è stato da lì in avanti.
Da lì in avanti. Sempre.

Sei stato fortunato almeno 5 volte, di cui due, sei stato baciato davvero dalla vita.
Hai conosciuto almeno 3 ragazze che il mondo umano maschile avrebbe leccato in terra per avere, e tu, invece, semplicemente, andavi avanti.
Ti sei tappato la bocca, ti sei sventrato il fegato, spappolato lo stomaco, hai disidratato il cuore, hai morto il sorriso, quello che tutti conoscevano di te.

Hai imparato, solo adesso, che hai confuso la soddisfazione con la felicità.
E adesso so cazzi tua Diego, adesso so tutti cazzi tua.

Avevi trovato, tornando a casa, l'amore quello senza se e senza ma, l'amore luce, avevi aperto qualcosa di te che manco conoscevi, e una volta uscito fuori ti sentivi bello e pieno.
Sì, c'era la macchia ma tu eri sincero.
Sta di fatto che non sapendo niente, quella parte di te, l'hai ammazzata una seconda volta.
Senza pietà, con il tempo, l'hai mandata prima in coma, poi in riabilitazione e poi l'hai ficcata da qualche parte della tua pancia, nella speranza più ottusa, che il tempo potesse seppellirla.
Il lavoro, come sempre, la copriva, insieme al tempo.
Ma come con il tappeto, la polvere viene solo coperta, ed è sparita col cazzo.
Hai portato con te negli anni la disillusione come compagna, solo per andare avanti, giustificando con il percorso di crescita la possibilità di annullarsi completamente.

Torino fa schifo, non l'hai mai sopportata.
Dusseldorf se non esistesse sulla faccia della terra, non se ne accorgerebbe davvero nessuno.

Non hai fatto altro che resistere. Niente altro che resistere, per il buon nome ( e due) della crescita professionale.
Fingendo di non sentire che lo stomaco si ingrossava, come quando gonfi un palloncino, al cui interno c'è solo il vuoto.
E questo è diventato il tuo compagno di viaggio.

Sei stato nuovamente fortunato, ma questa volta meno sciocco nel riconoscere la rarità di questa incredibile possibilità, avevi imparato la rarità dell'amore, meglio la benedizione dei sentimenti, della leggerezza e della felicità pura che porta con se.
Hai tentato di tenerlo in piedi, con ogni possibile forza, d'animo e di nervi, col cuore pieno di ogni particella di gioia. 
Hai vissuto la paura e la schizofrenia, il cuore diceva prova, la testa diceva "non resterà mai".
Ti sei strappato il cuore dal petto e l'hai messo nelle tue mani, l'hai portato fin dove davvero sarebbe riuscito a battere, per mostrarsi voglioso e pulsante.
Non sei stato fortunato. Fa male. Ok.

Ma questo ha fatto casino. Ha smosso e aperto di nuovo.
E adesso succede che tutto sta uscendo fuori da te, non riesci più ad arginarlo, a tenerlo, s'è rotto il cazzo il mio stomaco, il mio cuore, come un fiume che se ne sbatte i coglioni degli argini, lui, loro due, hanno preso il sopravvento, e la testa è andata, stanca, sfinita, ha lavorato e protetto fino a quando gli è riuscito.

Sogno un abbraccio, il tuo.
Sogno di riuscire a sentire qualcosa di nuovo, non di nuovo inteso come nuovo, ma di sentire qualcosa, perchè a quanto pare "Diego lei non sente più niente, se ne accorge" (cit); "Diego è inutile che lei fa quello romano che tanto a noi chi c'ammazza. Diego lei sta male. Diego lei sta scappando da troppo tempo" "Diego lei ha un buco nello stomaco incredibile, c'è il vuoto in quel buco, mi capisce?"

E quindi sei qui, che tra una settimana passi dalla psicologia alla psichiatria, semplicemente perchè, questa volta, da solo non ce la fai.
Ti senti sconfitto. Non ti aspettavi questo da te, non ti aspettavi di essere così sciocco, hai sempre detto di essere terza persona di te stesso, di saperti vedere anche da fuori.
Bene, hai visto e sei rimasto in silenzio.
Ti sei lasciato far male da solo.
Non ti sei voluto bene per un cazzo.
E adesso devi combattere due battaglie insieme, credere che quel vuoto abbia solo un nome e che devi pure mandare le cose avanti quando quelle cose ti cercano perchè "se ne muoiono", come se invece io "me la sciallo", e cercare di capire da cosa, da anni, a quanto pare, scappi.

Ricordati che passi le giornate col pilota automatico, cercando qualche voce, ma poche, immaginandone a tratti una in particolare, che scalda, per poi scuotere la testa e spingere te stesso a guardare altrove, perchè è così, fa bene, ma fa male.

Ricordati che ogni volta che vedi mezza cosa bella, che quando leggi una pagina di un libro che pettina qualcosa del tuo stomaco, o quando ti viene in mente l'immagine di qualcosa che sembra farti bene, i tuoi occhi si gonfiano, se sei sul divano ti volti verso la finestra e guardi lo spicchio celeste del cielo, cerchi la fuga, come un uccello; quando sei a lavoro giri il collo verso il muro, ti copri con la mano e respiri piano (un respiro grande e uno più piccolo).

La paura di mettermi seduto davanti ad un dottore nuovo che forse mi prescriverà delle medicine, non per la schiena, non per la caviglia, non per che cazzo ne so, ma per il cervello.
Pensavo di essere più bravo, pensavo che certe cose non sarebbero mai state nel mio percorso, invece no.

Ti stai cacando sotto.
Di quello che uscirà parlando con questa persona.
Di quando dovrò aprire la scatoletta delle pillole.
Penserò che forse è questo il risultato di tutte le volte che guardavo il cielo infinito e mi sembrava di perdermi lì dentro, del fatto che anche in campo da mesi sento solo niente.

Ti senti un corpo col pilota automatico.
La sola cosa che mi aiuta e che mi coccola anche se non dovrebbe sono due occhi blu, che mi ricordano che dentro di me, per davvero, l'amore e la forza di poter sentire qualcosa c'è.

Sarai una persona migliore?
Ma che cazzo ne so.

Pensi spesso a papà.
A quando tu eri piccolo e lui tornava alle 8.
A casa "vecchia" a quando gli lanciavi con mamma le palline da tennis.
A lui che comunque è "papà torna tardi che lavora" e mamma arriva dopo pranzo.
A papà che però le cose si dicono a mamma.
A me che non lego con i maschi, che so aprirmi solo con le ragazze.
A me che ho già un senso di fatica perchè il nuovo dottore è maschio.

L'angolo del mio divano è un guscio.
Sotto al divano c'è un tappeto che è stato un prato, il soffitto è stato un cielo pieno di stelle e di desideri. Quando ero lì che li guardavo sdraiato pensavo che se tutto fosse rimasto in quel modo, io non avrei davvero più mai chiesto niente di più. Mai mai lo giuro.

Adesso misà che mi ci sdraio di nuovo e se riesco a fare la magia per cinque minuti e una stella si sposta io la mano la tendo, perchè a me Paolo e Jesus Meme, stavolta, una mano dall'altra parte ci serve.