domenica 26 novembre 2023

Dido.


Tra le diverse cose che si imparano ad odiare, c'è la domenica sera.
Dentro "domenicasera" ci sono un sacco di cose che odio, forse più della domenica sera (senza maiuscola).
Queste cose potrebbero tranquillamente stare dentro tutte le sere, ma almeno con me, si affacciano tutte di Domenica.

La odio d'inverno, d'estate, a primavera.
Che faccia sera tardi o presto non me ne frega, anche quando la luce sta il giusto.
Non centra niente la scuola, il lavoro.

La verità è che la domenica non c'entra niente.
Ho cambiato canzone mentre scrivo e l'ho capito.
Sono arrabbiato. Con tutti e quindi alla fine con nessuno, o meglio solo con me.

Sono felice di vaer smesso la cura. Sì, l'ho smessa, senza seguire le indicazioni, senza chiedere il permesso. Dimenticandomi di prendere la pasticca la mattina. Tempo fa appena aprovo gli occhi era la prima cosa che cercavo.
Adesso me ne dimentico.
Il fatto di dimenticarmene mi ha portato a credere che mi sto dicendo qualcosa, che non mi serve più. Che quel milligrammo di qualcosa, non ha più senso. non ha motivo di ficcarsi nella mia pancia aiutando me stesso ad essere più centrato.
Quindi, davvero, grazie ma ciao.
Il dottore non lo sa. Dirà che non va bene.
Dirò che tra i tanti poteri magici di quel milligrammo, a me ne serviva solo uno, quello che lui non può darmi. Sì è vero, stanchezza per stanchezza mi ha rimesso in piedi. Ha chiuso il rubinetto, in tutti i sensi.
Non che voglia tornare ad essere la versione "Fontana De Trevi" di Diego, ma quella versione chimica di serenità ha dato tutto quello che può, non posso chiederle di più.

Le goccette? Uguale, salutiamo anche quelle.
Contarle cadere sulla lingua come le pecore con la testa sul cuscino, arrivare a venticinque ogni sera, e spegnermi in un niente.
Un grazie sentito anche a loro, ma loro, più questo che hanno fatto, anche bene, non possono.

È vero, se volessi, questa rabbia soppressa, loro potrebbero alleggerire, allontanarla, ma se tanto è solo grazie alla chimica che riesco a difendermi, allora è il caso che mi rimbocchi le maniche e semplicemente accetti che i capricci sono dei bambini, non degli adulti.

Faccio i capricci? Faccio i capricci.
In passato mi sono trovato a lamentarmi e scagliare sassi contro la fortuna o verso il destino avverso. Ho imparato che solo davvero poco, alla fine, dipendeva da quello.
Ho imparati a farmi da parte, in silenzio, andare avanti.
Ad andare avanti, ho capito, bisogna essere capaci.
Questa capacità al momento non è ancora pervenuta del mio curriculum vitae.
Pare proprio di no.

Incapace di odiare.
Incapace di sotterrare l'ascia.
Incapace di saper fare tutto quello che mi aiuterebbe a non essere nervoso adesso.
Incapace di bloccare, abilissimo nel lasciarsi bloccare, però.
Facile vè?

Incapace di accettare le cose come vengono, e di morirle per come capita.

Ancira non ho scritto mezza parola di quello che c'ho in testa, e me la sono grattata almeno due volte. Manco più qui riesco a scrivè quello che mi dice la pancia.
Alla mia pancia girano i coglioni.
Prenderei, prenderebbe, a pugni qualunque cosa.

La verità è che io così non ce la faccio.
A scopare così.
A girare in macchina così e andare dove vado.
Non ce la faccio a prendermi occhi dolci e complimenti.
Non ce la faccio a sentirmi chiamare in modi carini, dolci o dolcissimi.
Non ce la faccio a prendermi le attenzioni.
Non riesco a svegliarmi con qualcuno vicino, cioè ci riesco, che è diverso da farcela.
Tra fare e riuscire ce passa un fiume chiamato verità.
Come se steste leggendo una bestemmia.
Non ce la faccio ad uscire e andare a cercare parcheggio per poi mangiare da te.
Non ce la faccio a programmare con il cervello diviso in due.
Me che non esiste e un me che sta chissà dove affanculo nello spazio.
Non ce la faccio a pensare ogni momento che sto perdendo quel momento, che perdo tempo.
Riesco a non vivere perfettamente tutta la vita (bellissima) che ho davanti.

Adesso pure la psicologa vuole parlare solo di lavoro, dice che lo stress sta lì.
Dice.
Mi so quasi rotto pure di comprare vestiti.
Sono tutti così belli che mi cambierei due volte al giorno.
Ho speso così tanti soldi in questa stronzata che avrei potuto comprare due quadri fatti bene, o anche non comprare niente. Tenerli come li tenevano i nonni, per la vecchiaia, quando erano già nonni.
E ogni volta che mi incazzo penso sempre a quello che dice lo psichiatra:
Lei tra quello che c'è e quello che vorrebbe, sceglio sempre quello che vorrebbe.
Solo che quello che vorrebbe è inarrivabile.
Quindi lei in realtà sceglie una cosa che non c'è, quindi sceglie il niente.

Solo che a me sto niente mi tiene come la briglia il somaro.
Come un padrone il cane.
Come la fede il dito innamorato.
Come uno stronzo, il chiodo, al muro.

Ed è tutto un parallelo di finsione, di film che stanno solo nella mia testa.
Poco conta se sia veri oppure no.
Conta che li sento come catarro sui polmoni, attaccato alla trachea.
Un senza alcun senso, che più effetto non potrebbe avere.

Mentre scrivo, penso, se solo quella poraccia leggesse ste righe, che penserebbe?
Che penserebbe di te. "Tu non parli mai di te. Io sono un libro aperto".
Mi do un fastidio che mi prenderei a mazzate sui cojoni.

A tutto manca sempre qualcisa, anche se è in realtà, agli occhi di un profano (della mia mente) la cosa più semplice e carina del mondo. Che se uno non cercasse il neo, come le persone normali, dovrebbe solo prendere e ridere, prendere e ridere, prendere ridere e ringraziare, e magari vivere, viversela.
Invece? Invece col cazzo.

Voglio entrare nel corpo di uno capace di prendersi per il culo, o che con leggerezza, passi senza passare dal via, di palo in frasca, da destra a sinistra, da una cosa all'altra, come le scimmie gibbone, a cui basta solo avere un ramo, qualunque esso sia, per lasciare quello a cui erano legati, fosse da anni.
Lo sono mai stato? Cor cazzo.
Lo diventerò mai? Cor cazzo.
Sarò mai capace di dedicarsi ad una cosa se dentro l'anima sua anche ci sta il più piccolo alone de zozzeria della cena della sera prima? Cor cazzo.
Senza lavanderia, senza bianco, non se riesce. 
E da solo non so lavare. Lo giuro non so capace a lavare i panni.
Quelle due volte che è successo, sulla strada ormai senza speranza, s'era aperta una piccola bottega. Così piccola che c'era spazio solo per me e per la persona che voleva lasciarmi entrare.
Così, pur avendo panni sporchi nei nodi del tessuto, pur non credendoci, e senza doppia formula, la camicia era tornata linda, pure e pronta per farsi macchiare.
L'ho indossata senza bavaglino, senza paura di imbrattarla e lasciarla imbrattare.

Ma da solo no. Pure se sto alla foce, a lavare i panni zozzi, a me, non me viene.
Sai l'olio? Quello. Per me i miei sì, i miei sorrisi spontanei, i miei impegni e quei due tre pansieri di felicità, sono olio, olio su camicia. Bell'opera d'arte.

Mi faccio na camomilla, vaffanculovà.

 

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