domenica 27 novembre 2022

Pollorollo.

 Sei sul campo, di domenica. Il campo è da tennis.

Per la prima volta in tre settimane, forse quattro, la testa sta sul giallo della pallina.
Sì, ad intermittenza, ma è più le volte che ci sta che quella che no.
Sì, lo senti che è strano, e che come tante altre cose, anche il senso di questa, va fuori fuoco.

Fa schifo quando è così.
La vita fuori fuoco è uno spreco su tutta la linea. Tutta, n'se sarva niente.
E te ne dovresti pentire, quando capita, perchè alla fine, alla fine fine, qualcosa pe fa mezzo sorriso se deve trovà. 
C'hai du gambe, una famiglia che ti vuole bene e che t'ha cresciuto, sei sano, non sei stupido per niente, dormi sotto ad un tetto, i termosifoni ti scaldano, sì li paghi cari, però ce l'hai.

Va bè, insomma, mentre giochi, e alla fine te ne accorgi che ogni volta che picchi quella palla, oggi stai picchiando altro, e forse serve, magari sei meno preciso, ma quando la prendi piena, dentro quell'impatto ci stanno un sacco di cose, proprio tantissime, la voglia di sudare, di sentire un suono pulito, la voglia di cambiare le cose, la voglia di urlare che è sempre tutto uguale, tutto ingiusto, tutto infame, che più che picchiare una palla forse qualcosa picchia te, la picchi per mandarla via, lontano, da qualche parte, ma infame, torna indietro perchè qualcuno ce la rimanda da te, certo è il gioco, o forse una bastarda metafora di come spesso più provi a mandà via na cosa e più questa te ritorna indietro.

Però ecco, mena mena, spingi spingi, spacchi le corde.
Non erano nuove, lo sapevi. 
Hai due racchette e lo sai.
Come sai che le corde della seconda so rotte pure quelle.
Come sai che mai in tre anni hai lasciato le corde rotte per più di 24 ore.
Invece quelle erano così da 18 giorni.
La corda è gioco, il gioco è campo, il campo sei tu.
Invece niente, s'erano rotte e così l'hai lasciate, appunto rotte, forse come te.

Il problema non so tanto le metafore tristi, quanto pe na vorta, il fatto che domani mattina t'alleni.
Hai finito le racchette, mica sei un professionista che ce n'hai 18, che te le sistemano.
Quindi pensi: "eh mo domani mattina?"

Se solo sapeste n'do vojo arivà.
Un attimo di pazienza, so fatto così.
Nel bene o nel male.
Se mi volete bene, mi fate una telefonata che mi sento solo...

E quindi il mio amico Andrea mi dice, vai lì che te la sistemano.
Lì, è un posto preciso ma pubblicità la faccio solo se me pagano. 
E quindi vado lì e sono fortunato, perchè qualcuno le corde me le sistema, ma tra mezz'ora.

Ok ho fame e cerco un posto per mangiare.
Trovo un posto che fa schifo, uno di quelli che puzza di fritto, che fa le pizze tonde che sembrano pozze d'olio e i pomodorini sono neri sui bordi. Quindi vado avanti.
Ne trovo un'altro, che va bene. Entro.

Ci siamo quasi.

In questo posto minuscolo ci sto solo io e due tizie che preparano le cose da mangiare.
Ordino e mi metto al tavolo, devo tenere la testa non sul vuoto, perchè poi finisco per sentirmi dove non vorrei. Devo combattere, costretto a cacciare il pensiero di un sorriso, perchè in niente diventa acqua dagli occhi. Ci mette zero, una fossetta diventa na goccia. 
Combattila tutto il giorno sta cosa.
Combattila.

Quindi il santo inutile cellulare su cose inutili, scrolli solo per dare al cervello l'input perchè non vuoi che vada su altro.
Quindi quando combatti contro te stesso e pensi che forse per due minuti ce la fai, arriva la vita a farti capire come stanno le cose. Ci mette zero, anzi due, come i ragazzi che entrano nel posto.
Sono giovani, avranno avuto meno di vent'anni, lei jeans sneakers e un cappottino strano mezzo peloso, una moretta, curvy, ma chissene frega. Lui invece ha un felpone con il cappuccio che tiene su e che nasconde dei ricci neri neri, un naso appuntito, occhi scuri, labbra sottili.
Sì, ho una memoria fotografica, mbè? (Poi solo pe quello che me pare).

Si avvicinano e ordinano due cose, si mettono seduti, anzi solo lei, lui resta in piedi a massimo venti centimetri da lei.
"A distanza bacio" ho pensato.
E il fegato ha iniziato a tremare.
Lui sorrideva mentre lei diceva cose qualsiasi, per me lui manco ascoltava, perchè ad ogni consonante lui si avvicinava e le stampava un bacetto.

"No perchè secondo me..."
Bacetto sulla guancia

"...quello non s'è proprio regolato..."
Bacetto sul collo più lungo e profondo, le alza il braccio e la mano gliela mette dietro la nuca.

Io sto finendo in terapia intensiva.

"...che poi non poteva dirglielo invece di fare tutte ste scenate.."
Bacetto sulle labbra.

Lei smette di parlare, ricambia.
Una volta. Si staccano il tempo di un sorriso. Quasi naso naso.
Bacetto sulle labbra.
Ancora.
Un'altro ancora.
Gli occhi sorridono.

Io sono in rianimazione, semplicemente, solo che non sdraiato, seduto su uno sgabello.
Mi spariscono gli organi e nel mio petto c'è solo un buco immenso con un'eco.
Il buco si allarga e sento il mio cuore che si strizza come una spugna dalla quale vuoi togliere tutta l'acqua che ha. 
Non so come aiutarmi.

Bacetto.
Bacetti. Sorrisi.

Abbasso lo sguardo perchè ho sicuramente gli occhi che, visti da fuori, sono un misto tra un cuoricino, l'invidia, l'infamia, il dolore, e metteteci qualunque altro aggettivo vi venga in mente.

La mi testa vola a Bologna. E non riesco a fermarla, cazzo.
"Io di baciarmi in mezzo alla gente mi ha sempre fatto schifo, però con te non ci riesco ad evitare".

Ho i palmi delle mani sugli occhi, come quelle di una mamma che protegge un bambino per non farle vedere una brutta cosa.
Solo che sento gli schiocchi di quei baci.

Spero che smettano. Non voglio che smettano.
Perchè sono felice per loro. Perchè anche se io non ce l'ho più, loro devono averlo tutto il tempo che vogliono.

Avrei solo voluto, in quel minuto durato una vita, dire loro "non lasciatevi mai, vi prego non lasciatevi mai".
Non l'ho fatto, non ho avuto coraggio e sarei sembrato oltre che pazzo e guardone, solo uno che porta sfiga. E non volevo, diciamo che gliel'ho augurato con tutto il mio cuore, o almeno quello che ne rimane, di essere felici, a meno di vent'anni, come per il resto della loro vita.

Che poi magari loro si lasciano domani e non si ricorderanno più l'uno dell'altra, è anche così che va, che funziona no? Però ecco, se in quel momento c'è un testimone dei loro sorrisi, bene o male che sia, quello sono stato io.

Nel film "Collateral Beauty" qualcuno cerca di insegnarti che in ogni momento, anche quello più brutto, c'è sempre qualcosa di bello.
Io onestamente faccio fatica a trovare il mio in questo preciso momento, ho solo una piccola parte di me che è "felice" perchè non riesco a stare senza scrivere, ho di tutto nella pancia e questo di tutto deve uscire fuori in qualche modo. Certo i metodi naturali acquei si danno molto da fare, ma probabilmente non bastano. E sento solo che mi guardo intorno non cercando queste cose che mi succedono, cerco delle distrazioni, che poi finiscono per ritornarmi addosso come onde pesanti, e sì, io so nuotare, ma davanti a quest'acqua grossa, spesso le braccia che mulinano (grazie Max Gazzè) non sono abbastanza, e finisco per sentirmi sempre più in balia di me, sempre più piccolo, e sempre più solo.
(Quante volte lo vuoi scrivere che te senti solo?)
 E anche se è così, le voglio scrivere. E mi ritrovo qui.
Il punto è che so anche perchè le voglio scrivere, ed è questo che mi fa ancora più paura.
Dovrei smettere, di nuovo. per un bel pò.
Ma non so se ce la faccio. Esattamente come tutto il resto.

Però ecco, alla fine le corde me le hanno sistemate.
E domani mi alleno.
Già.

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