martedì 29 novembre 2022

L'isola che non c'è.

 

Il mio stomaco vive di singolari, inutili e temporanee (direi fulminee) primavere.
Sono vittima della mia fervida ed irrimediabilmente incorreggibile fantasia.
Uno stato allucinogeno del quale penso di non poterne fare a meno ma che regalerei (almeno adesso) al primo che incontro per strada.

Ed è per questo che sto qui in questo momento.
Le mani pizzicano, lo stomaco urla canta sbava fin tanto che smetto di resistere e mi ritrovo davanti a questa pagina maledettamente bianca e maledettamente morta nel suo essere, fino a quando non le do quel minimo di vita, riempiendola di una serie di pensieri tutti infondati e tutti allucinogeni.

Raramente mi viene prima il titolo di un post, e quando m'è venuto questo, mi sono spaventato perchè è stato come averlo chiuso e già scritto. Questo è il momento peggiore, perchè è come quando un drogato sente che la dose precedente è bella che andata, e sente il sudore freddo lungo la schiena, un rivolo di paura misto rabbia. E da quel momento tutto diventa irreversibile.
Non importa cosa tu stia facendo, non importa dove sei, devi scrivere, devi drogarti, devi inghiottire, o cacciarlo fuori, una pasticca per una tastiera.

Eccoci qui. Ed eccoci qui.

Mattina presto, sto sul campo da tennis, ho le scarpe marroni di terra, scivolo a destra e sinistra. Sono sudato quasi a merda, ho il fiatone. Ho appena mandato in corridoio un dritto lungolinea (tanto per cambiare, fino a quando non la smetto di guardare il corridoio nel momento dell'impatto).
Dalla porta del pallone entra qualcuno, ci sono due campi, non so che ore siano, ma non mi sembra il cambio dell'ora. Non guardo niente, ho in testa mille cose tra cui lo scambio che riprende, e vorrei durasse almeno 60 colpi.

Non durerà così perchè una figura timida entra.
Riconosco due cose, e gli occhi si spalancano, mi manca la saliva dal palato.
La racchetta pesa sei chili improvvisamente.
Capelli neri corvino, lisci, lunghi, degli stivaletti neri. Fa dei passi, mi guarda.
Sento che ha paura. Supera l'imbarazzo ad ogni passo, ma ad ogni passo ha sempre più paura.
Teme di essere di troppo, teme un miliardo di cose, tra cui quella di non essere sicura, si fida solo del fatto di essere arrivata fino a lì.

"Ciao" le dice il maestro del campo vicino al mio.
Ho le braccia lunghe.
Riky, mio sparring partner, è sospeso in quel momento in cui mi sta per mandare il dritto ed iniziare lo scambio.
Ha la pallina sulla mano sinistra, il suo movimento bloccato è un punto e virgola.
Io sento freddo.
Ero a mille gradi, adesso sono tra i punguini.

Riky mi guarda.
Io lo guardo.
Lui mi guarda.
Io scuoto la testa. Scuoto la testa. Scuoto la testa ma ho dimenticato il perchè.

Capelli corvino muove dei passi silenziosi, tanta la paura non lascia nemmeno le impronte sul campo di terra, una volpe bianca nella foresta. Elegante, furba, occhi azzurri.
La preda sono io.

Smetto di scuotere la testa.
Il piedi destro si muove verso la volpe.
Riky si ferma e va a bere. Ha capito.

Ho fatto due passi. Mi pesano le gambe.
Ho gli occhi ad un millimetro dal diventare una cascata.
Non sono manco le nove e mezzo di mattina.
Il groppo in gola sembra uno yoyo.

Sono a mezzo metro dalla volpe.
"Ciao" dico.
"Aiuto" penso.

"Hey" dice la volpe.
Salcazzo che pensa, la volpe.

"Ciao" dico di nuovo.
"Aiuto" penso.

"Non ce la faccio", dice la volpe.
"A-Avevo capito, non serviva arrivare fino a qui".
"Intendo senza di noi. Non ce la faccio".

"Posso morire se è uno scherzo o se ti sbagli". Dico io.
"Ho paura, mi fai paura, Dio quanto sei bella, Dio quanto mi manchi" penso.

La volpe piange. Davanti a tutti.
Ha la coda grande, e con quella cerca di coprirsi gli occhi.

"Non devi mai più piangere e mai accadrà fino a quando ci sarò io con te" penso.
"Se mi avvicino, puzzo, te lo dico" dico. 
Ho una smorfia che forse è la versione randomica di un sorriso.


La volpe scatta, mi è addosso, mi si avvinghia.
La mia racchetta è a terra.

Riky beve e guarda, nell'altro campo si sono fermati. Nessuno gioca più.

Non so quanto dura questo abbraccio ma forse troppo (per gli altri) perchè Riky ha rimesso il pezzo sopra della tuta.
"Dai che mancano solo 20 minuti tanto...ci vediamo mercoledì" Se la ride, Riky.

Siamo in vespa. Siamo a casa. Siamo a letto. Siamo insieme. Siamo felici. Siamo il nostro piacere. Siamo i nostri respiri. Siamo naso naso. Siamo a distanza bacio, ma solo per riprendere fiato tra uno e l'altro. Siamo l'invidia del mondo. Siamo in malattia per il lavoro. Siamo quello che è giusto che sia. Siamo amore.

Sono io. Sono pazzo. 

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