lunedì 30 ottobre 2017

La filosofia delle patatine.



Affrontiamo l´impossibile argomento del giorno con la leggerezza tipica del lunedì.
Il tutto parte da un ricordo di infanzia del tutto personale.
O forse era la scena di un film.

Immaginate di essere in uno di quei laghetti artificiali.
Pesci come condannati a morte.
Insomma, siete in questo posto perché il proprietario, del tutto inspiegabilmente, interpreta anche il ruolo di pescivendolo.
Quando serve del pesce, tu vai e ordini i chilogrammi di cui hai bisogno.
Lui, molto semplicemente, pesca a strascico e te li serve dentro una busta enorme di plastica.

Mentre siete in questo posto e la pesca a strascico sta avendo luogo, i vostri amici (immaginate anche loro) contrattano per un prezzo migliore di quello proposto.
La contrattazione prende del tempo.
Quello necessario per vedere in diretta la fine della vita di un pesce passato dalla rete ad un secchio d´acciaio.

Quel pesce che fino a qualche secondo fa viveva la sua giornata, ignaro del suo sciagurato destino, adesso, letteralmente, boccheggia.
Lo osservate tra la pietà e la paura.
Il terrore di vedere qualcosa (qualcuno?) morire.
Il terrore che non siate in grado di prendere quel coso umido e rigettarlo da dove era stato preso.
Il terrore che possiate essere tanto schifosi.
Tanto cattivi.
Disumani.
O semplicemente umani che accettano la catena alimentare per quello che è: tu sei cibo.
Nella tua mente tutti questi pensieri vanno veloci ma nella realtà il tempo scorre con un fuso diverso.
L´aria scarseggia sempre di più per quel povero pesce.
La sua ribellione sta tutta nella coda.
Si agita, la usa come uno schiavista fa con la frusta.
Cerca una via d´uscita, meglio, una nuova entrata verso la vita.
Ma niente.
Tu guardi.
Lo guardi dritto nel solo occhio che riesci a vedere.
Un occhio che da lucido si fa opaco, ogni secondo di più.
Scotinzola, come può.
Le pinne battono.
Le branchie abbaiano.
Tu guardi.
Guardi e basta.
Mentre ti senti schifoso, triste e davanti a qualcosa di solito ma nuovo, ragioni sul fatto che fino a quel momento non eri mai stato vicino alla morte.
Mai quel momento, il trapasso, ti si era presentato con tanta sfacciataggine.
E che lui adesso non vede più quello che invece tu puoi.

È passato un secondo.
Meglio, è bastato un secondo.
Un tizio in India osservava l´orologio aspettando il figlio all´uscita dell´asilo.
Il pesce prima era vivo.

Ecco, se basta tanto poco per trapassare, allora forse conviene prenderne atto.
Ok, come faccio adesso ad uscire dal banale?
Ci vuole un triplo salto mortale carpiato difficoltà 8 con penalità zero.
E tergiverso.

Ogni secondo è prezioso? Dai?!
Ogni secondo dovrebbe esserci utile a capire che quello dopo potrebbe essere l´inizio di una cosa del tutto diversa da tutti quelli vissuti prima? Scrivo i testi per la rappresentante della Polonia alla prossima edizione di Miss Mondo?!

Quindi, proviamo a prendere le cose dalla prospettiva del pesce.
Ecco lui si stava facendo la sua nuotata, come tutti i giorni.
Non aveva dato fastidio a nessuno.
Programmava cose poco alla volta e niente di speciale.
Qualche pezzetto di cibo, una fuga giorno per giorno da qualche esca, una pensione senza troppi fronzoli, una pesciolina, qualche uova da fecondare, forse X Factor la sera, o le repliche di Suburra.
Ma niente di più.
Non era spaventato dalla routine.
Non temeva la noia della quotidianità.
Anzi, in fondo in fondo, ci sguazzava in quella semplicità.
Lui, al bar dei pesci, parlava solo se messo in mezzo, rideva quando gli altri, i ribelli, si lamentavano della noia, della schiavitù del laghetto.
Quando gli altri meditavano la fuga lungo il rivolo d´acqua, quello prossimo alle fognature, lui pinnava via.
Non era un cuor di leone, allo stesso tempo pensava che sarebbe stato sufficiente stare attento. Solo attento.

Allora forse tutto è un pochino così.
A pensarci bene.
Quando ti trovi in un posto e pensi di volere di più corri il rischio di finire nella fogna sbagliata, l´ambizione (senza alcuna offesa morale) a volte è come un transessuale che non hai saputo riconoscere, ma che scopri solo quando finisci a pancia sotto sul letto.
L´assenza di ambizione è come Beautiful; milioni di puntate con colpi di scena utili solo a rimandare le cose al giorno dopo, senza però mai davvero cambiare niente.
Ti godi il benessere della tranquillità che, comunque, alle 16 la tua puntata te la vedrai comunque.
La vita diventa una compagnia anziana.
Ti racconta le cose belle degli altri.

Allora cosa dobbiamo veramente essere.
Fin dove possiamo davvero spingerci.
Restare nel laghetto, sicuri di dover stare solo attenti e finire nel secchio d´acciaio
o
tentare la via del fiumiciattolo, magari scoprire che nel breve arco di sette metri si prosciuga e morire, ma avendo tentato?

Senza contare che la parola ambizione deve necessariamente essere contestualizzata o meglio spiegata come rischio/cambiamento, e non nel suo mero e becero utilizzo.

Una vita ambiziosa di base prevede qualcuno che nasce con poco o meno, peggio nulla e vuole qualcosa, una parte o tutto il mondo.
Iperbolicamente, una persona da sempre orientata alla crescita professionale corre un rischio decidendo che la sua ambizione è quella di dare tutte le sue attenzioni alla cura di qualcosa di tremendamente diverso, senza scopo di lucro e senza voler dirigere persone o cose.
Semplice: molla tutto per una donna.
Se ne trovate uno chiedetegli se si sta cacando sotto. 
Probabilmente lo capireste senza nemmeno chiedere.

Oddio mi sono perso.


Quindi ecco.
Se osservare da vicino qualcuno o qualcosa che muore spinge a vivere meglio sarebbe il caso di fare un giro in ospedale, parlare con qualcuno che combatte.
Ma la vera domanda è: perché serve osservare qualcuno che perde quello che abbiamo per dargli un valore del tutto diverso?

O meglio, come nella storia del pesce, la sua morte ci spinge a cercare il modo di morire, ma meglio? Intendo meglio di così?

O meglio, ma non dovremmo voler vivere una vita in cui non vorremmo veramente mai morire?

O meglio, detto becero, sticazzi di tutto, basta che me ne vado a fine corsa, cioé che pensi che quello che volevi fare l´hai fatto?

Boh, riscriverò questo mucchio di cazzate se e quando arriverò a 85 anni.
Quando non ci sarà più internet ma qualcosa per scrivere.
Probabilmente qualcuno leggerà un punto di vista più consapevole o maturo.
Credo. Ma spero di no.

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