giovedì 28 settembre 2017

La preghiera delle 18.



Da me a me volevo chiederti scusa.
Mi dispiace.
Giuro. 
Lo giuro davvero tanto. Tantissimo.
Dico sul serio. Cioé sono serio.

Scusami se ti fermo ogni sacrosanta volta.
Scusami se non riesco mai ad accontentarti.
Scusami se ti freno.
Se ti fustigo, in modo perpetuo.
Scusa se non ti assecondo.
Se non ho quella forza, quello slancio.
Quel fegato lí.
Scusa se uccido la tua voglia di vita. 
La voglia di mettere alla prova entrambi.
Oltre il viaggio, i chilometri, oltre i volti di persone che sogniamo insieme e che non vedremo mai per piú di tre settimane l´anno.
Perdonami se metto paletti, finte veritá, false necessitá.
Scusami se sei capitato incastrato in questa merda.
Ti chiedo di avere una infinita pazienza se sei nato tanto vivo e sei prigioniero dentro qualcosa, meglio qualcuno, meglio me, che ti ingabbia senza la minima apertura.
Perdona la mia superficialitá, la mia incapacitá di slegarmi da questo contesto dato, tanto odiato quanto sicuro, sciatto, sterile, privo di tutto quello che, alla fine, vale veramente.
Scusami ancora se davanti ad una cartina, una mappa digitale, io ti mostro il gelato, te lo faccio leccare, poi ti lascio senza, o almeno non te lo faccio mai gustare davvero.
Per una santa volta, tutto intero.
Scusa se ti faccio aspettare.
Scusa davvero ancora se condenso tutto quello che vorresti in 21 giorni su 365.
Sembri un cane che fa le feste quando saliamo su quel volo.
Sciolto, finalmente libero.
La bava alla bocca manco vedessi un osso gigante.
E scusa ancora di piú se ti rimetto il guinzaglio, dal 20esimo giorno, per riabituarti alle maniere usuali, vecchie.
Ció a cui siamo davvero abituati, da sempre.
Scusa se sono recidivo nei tuoi confronti.
Ma grazie perché non molli mai.
Ti sento scalciare come la mamma un feto impaziente.
Ti rigiri nella notte e smuovi tutto quello che trovi, fin quando non arrivi dritto al mio cuore, alla mia testa che comincia a sognare. Evade.
Sogna il piano. Qualcosa che bisognerebbe fare e rifare.
Strafare, cazzo sí, una volta nella vita.
Una. Volta. In questa sola vita che abbiamo.
Scusa se me la faccio addosso.
Scusa se ho paura di vedere quanto sarei piú felice.
Scusa se ho il terrore di scoprire che siamo piú noi stessi nella felicitá di un giorno normale, un giorno che vive di se stesso e di nessun altro obbiettivo futuro.
Costruire, sí, ma se stessi e basta.
in modo perpetuo.
Niente calcoli, niente drammi.
Una pozza di fango, un sorriso cariato, un ombrello bucato.
Scarpe sporche. Sporche sempre.
Sudato il piú delle volte.
Puzzolente di vita. Un fetore che mai dalla pelle si deve staccare.
Scusa se poi finiamo davanti alla tv.
Scusa se poi guardo solo fuori dal finestrone osservando quello squarcio di giardino.
Un angolo di verde delimitato da un muretto di mattoni marroni.
Quello che ci ricorda i palazzi di Londra, di Amsterdam.
Ci ricorda qualcosa, tutte le volte.
Scusa se ti porto sempre al bordo del burrone, con l´oceano davanti, senza scogli sotto.
E non mi tuffo mai.
Ti prego di capire che se ti scrivo queste cose é perché lo sento che strilli.
Un bimbo a cui é caduto il ciuccio.
Un neonato affamato senza il seno della mamma.
Ma ti prego, prova a sollevarti per il fatto che ti sento e che senta tutto questo come 
un torto infinito
un limite perenne.
Ti prego non darti mai per sconfitto.
Mai.
Pioverá dal cielo, un giorno, quell´acqua benedetta.
Un battesimo.
Lo so che l´attesa snerva, consuma e fa dimenticare.
Chi come noi, piú di noi, puó saperlo?
Posso prometterti che eviteró di pensare parole stronze come: 
responsabilitá
realtá
e soprattutto "sei troppo grande per fare questa cosa".
Lo so non é una parola, ma potrei anche dirla con una parola sola: illusione.
Sí, hai capito bene, illusione.
L´illusione che per fare determinate cose si debba avere un´etá precisa, specifica, oppure si é in ritardo, si é perso il giro, il treno, qualunque cosa.
E scusa ancora e ancora se la sola parola che mi viene in mente quando mi confronto con te, davanti allo specchio, come ora la sola parola con "are" che mi viene in mente, invece di tentare o piú umanamente rischiare, é fermare.
Bloccare l´immaginazione, lasciare al palo la fantasia, la fatica dietro a dei passi fatte con le scarpe da trekking, dietro un lavoro a ore fatto solo per pagare un posto dove dormire.
Un lavoro che serve solo a dare benzina alla macchina.
E invece di frenare, insieme, potremmo camminare, ascoltare, guardare, spaziare.
Cazzo: imparare.
Imparare un sacco.
Non ti arrabbiare, ma ci conosciamo da tanto e lo sai che per me, cambiare, non é proprio una cosa facile.
E prima di partire insieme, io e te, e prendere a viaggiare, c´é un percorso davvero piú difficile da portare a termine.
Quello in cui tu, passo passo, prendi per mano me, e mi insegni di nuovo a camminare.

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