lunedì 3 aprile 2017

UFFA



Se l´umore deriva anche da quello che ci circonda, ecco che, quando il lunedí si presenta pieno di nuvole uggiose (uggiosissime direi), allora viene improbabile per questo blog non partire con l´auto(spicciola)analisi.

Di base ogni persona dovrebbe essere piú forte delle intemperie.
Non dovrebbe esserci goccia, pioggia o sole che tiene.
Non dovremmo rifarci a qualcosa che é ciclico a cambiare il modo in cui, quel giorno, mandiamo giú l´aria che circonda.

Diciamo la veritá, ok?
Massí.
Forse quando queste intemperie riescono a vincerci é perché é un momento momentino, momentone, o di fragilitá.
Eterna o passeggera.

Le nuvole ci ricordano una serie di cose piccole e grandi.
Quando il peso di ogni piccolo pensiero possa essere proprio come loro, le nuvole.
Possa addensarsi, ingigantirsi con un attimo, possa, quindi, oscurare tutto quello che stavamo, stiamo o che decideremo di fare.
Stronze ste nuvolette, vé?

Possono svanire in un secondo, diventare prima bianche, candide, poi sfumare, assottigliarsi e lasciarci respirare il tempo che serve.
Quello in cui sole alto e caldo (pare vero) ci scalda il volto.
Una carezza regalata.
Decisamente inaspettata.

Solo che quando ci abituiamo al sole il ritorno delle nuvolette stronze fa davvero malino.

Possiamo chiedere a queste nuvole di scaricarla tutta, una volta e per (cazzo) sempre 
st´acqua maledetta?

Ciao nuvola
Ciao

Senti, facciamo cosí, io mi metto quí sotto e tu piovi cosí tanto e cosí forte che magari riesci anche a farmi crescere, ci stai?

Crescere?

Eh, certo. Sai, la mia etá emotiva non corrisponde a quella anagrafica.
Vivo distorsioni emotivamente da me medesimo cercate, costruite e generate.
Gli stessi psicodrammi da film adolescenziale mi spingono invano a farmi in loop delle domande che mai troveranno alcunissima risposta. 
Secondo me é decisamente un discorso di maturitá, vé?

E quindi io che dovrei fare?

Piovi, piovi fortissimo. Annacquami il cervello, i pensieri, affoga tutto c´ho che resta. Tutto ció che con granitica resistenza si aggrappa ad un quotidiano che nulla affatto lo riguarda.
Lascia che galloni di acqua si facciano oceano con onde immense e che se almeno non riescano a portarli verso un porto felice ma lontano, che si spaventino, che spaventino me, piú di cosí, molto piú di cosí. Perché tanto lo so che anche nel peggiore dei mari che mi darai, io costruiró un maledetto faro, un piccolo porto, una scia di alghe luminose che come un sorriso, scalda e rassicura. 

Ma per salvare chi?
Per salvare cosa?
Il non detto.

Tutto quello che bolle nel rigurgito di uno stomaco fatto pentola, meglio pentolone.

Tutta sta cosa dovrei fare?
Ma no nuvola, io l´ho romanzata, sennó sai che palle.

Eh ma io sono una nuvola, quello faccio.
No tu sei molto di piú, fai solo finta di essere solo te stessa, molto meno di quello che sei.

Ma ti senti bene?
In che senso, scusa?

Stai parlando con un agglomerato allo stadio gassoso che si muove nel cielo, lo sai?
Penso di sí. Ahimé.

Senti, lo vuoi un caffé, nuvoletta?
Latte freddo a parte, grazie.

Zucchero?
No, dolcificante.


Uffa.




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