mercoledì 19 febbraio 2014
A tu per tu.
Tra le varie discipline che nessuno ti insegna c'è "tradire se stessi".
Tradire se stessi è un corso di crescita che tutti hanno fatto, che qualcuno prova a raccontarti, che puoi ascoltare, provando ad impararlo come facevi a scuola con il Bignami, ma niente, alla fine non ti rimane un cazzo.
Quindi puoi solo aspettare che la sorte muova le sue pedine e, tac, eccolo, l'evento, il cataclisma o il piccolo tzunami ti si mette davanti, dietro, di lato, ovunque, e tu puoi solo farti colpire. Decisamente in pieno.
Ma proprio in pieno.
Mani sul volto, non parli, ti copri e pensi.
Ti prego fai piano. più piano di così, perfavore più piano.
Invece, niente.
Quando quello che ti ha preso in pieno si allontana, quello che resta di te sono brandelli di vestiti, di pelle, di sorriso, di memoria.
Un piccolo puzzle di te stesso.
Ti rimane solo il coraggio nelle manine, e devi anche muovere il culo per ritrovare gli incastri giusti.
Se non lo fai da solo, nessuno lo fa per te, e la cosa più strana è che anche se tu non lo vuoi, la vita si muove e ti obbliga.
Anche se vorresti solo lungo silenzio.
Anche se volessi solo calma.
Anche se volessi solo niente.
Ok, voglio niente, un niente lento, un niente noioso.
Un niente amico, che mi prenda per mano.
Invece no.
Succede che tutto va veloce, e restare indietro non aiuta, anzi, distrugge anche tutti quei pezzettini che hai per ridare vita al piccolo te in formato granelli di sabbia.
Il fatto che questo piccolo disastro debiliti e ti renda tutto tranne che felice altro non è che l'inizio.
Perchè questa parte della storia potresti anche superarla, o comunque, l'hai vista in giro tante volte; forse, sei quasi preparato.
Il problema vero, quello che nessuno ti insegna è fare i conti con te stesso quando rimetti insieme i pezzi.
Inevitabilmente capisci che i pezzi che hai potrebbero costruire un te nuovo, diverso e la cosa ti fa paura.
Un te cambiato, al quale non sei decisamente abituato.
Un te che vuole essere costruito in quel modo.
Un te, non te.
Oh mio Dio. Ma sono io?
La memoria di te stesso pensavi fosse la guida per ricostruire, invece, ecco, potrebbe non essere del tutto così.
Quindi che fai? Attacchi un pezzetto alla volta.
Ne esce qualcosa di nuovo davvero.
Da una parte è bello, dall'altra fa paura.
Perchè costruire il nuovo te è come tradire quello che c'era prima.
Sei te, davanti a te e lo stai per tradire, ricostruendolo in maniera diversa.
Amavi quella persona, amavi ogni suo difetto, amavi i suoi pensieri, amavi il suo modo di amare, respirare, cadere, saltare, cacare, ingurgitare e fuggire.
Eppure i pezzi messi in quel modo, sembrano non incollarsi più nello stesso modo.
Cazzo non combaciano.
Cazzo ho paura.
Cazzo è tutto nuovo.
Cazzo ma lo voglio?
Mi vedo in questo nuovo puzzle?
Come guardarsi allo specchio e vederci simili a noi stessi, ma non uguali.
Allora devi decidere.
Fermarti.
Costringerti con pazienza a trovare il modo di rimettere quei pezzi nello stesso modo, anche forzandoli, oppure lasciare che le cose cambino davvero?
Non ti piace il puzzle? ok.
Sei tu, davanti a te stesso.
Più patos?
Ok, sei tu, davanti a te stesso più piccolo, bambino, più dolce.
Ti sta indicando, è quasi in lacrime.
Ti chiede: "non lasciarmi qui, non lasciarmi indietro".
Lui il piccolo Tzunami finge di non averlo visto e tanto meno sentito.
Lui è quella parte radicata, quella parte eterna, quel tu che tu conosci davvero bene e che difficilmente sai prendere in giro.
Che non puoi scavalcare.
Che non sai evitare.
Quel te che sbaglia e che ama sbagliare.
Quel te che ci casca sempre, col sorriso.
Quel te lì, che conosci proprio bene.
Che odi.
Che ami.
Voltargli le spalle non è facile.
Lasciarlo lì poi.
Un passo lontano da lui potrebbe essere un sorriso in più.
E un rimorso in più.
Una nuvola in meno.
Un rimpianto in più.
E se invece di lasciarlo lì, lo prendi per mano e lo porti con te.
Ma avanti?
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