venerdì 2 dicembre 2011

The ego bacchettone.

Ammettere che passando tra gli scaffali non ci sia stata la curiosità di comprarlo sarebbe una bugia, ciò che frena è il pregiudizio rispetto all'autore (o almeno ad uno dei due).
Carlo Verdone ha ammesso pubblicamente che Silvio Muccino è un bravissimo sceneggiatore. Carlo Verdone è cresciuto con Sergio Leone. Carlo Verdone sa quello che dice. Il pregiudizio in questo senso andrebbe superato. Andrebbe, appunto.

Non parliamo di Muccino Jr. ma della sua intervista su mtv di domenica mattina nella quale racconta in due minuti la trama di questo suo "rivoluzione numero nove".
Il testo, stando a lui, vive di un buon parallelismo tra un ragazzo del '68 e una ragazza del 2000.
Quello del sessantotto vive la rivoluzione in corso, culturale, politica, insomma, quella di cui tutti ancora parlano e che usano come spauracchio.
La ragazza del duemila non vivendo in un momento di particolari cambiamenti ne vive una interna. Visto che intorno non cambia nulla, allora cambio io. La guerra personale per crescere, spesso, è più dura di ogni altra.

Non entriamo nel merito generale del cuore di questa storia, personalmente credo che nel 2000 ci siano state così tante cose internazionali e nazionali che cercare una rivoluzione interna per noi, credo sia un tantino fuori contesto. Evidentemente se l'autore nel duemila non ha visto tutti questi cambiamenti, questo può scrivere.
Le visioni del mondo sono sempre personali. Quindi, se volete, leggete, poi mi dite.

Il tema, raccontato, del libro è interessante perchè fa pensare una cosa davvero importante, tremendamente attuale.
Poniamo che oggi la base per fare la rivoluzione ci sia davvero. Togliamo il poniamo ed elenchiamo.
La crisi, dovuta alle gestioni becere, di tanti attori che hanno fatto più da cani che da star (restando alla metafora cinematografica) hanno portato tutti noi a credere che sono loro che combinano i casini e che sempre loro debbano risolverli (poi avvalendoci del nostro aiuto).
Che la cosa politica sia qualcosa di distante dalle persone, che la politica sia burocrazia e non un modo di vedere le cose, la vita e di scegliere; questo per chi scrive è politica.
Non la x, non la bandiera, ma lo spirito che muove le scelte, il fatto di sentirsi giusti o ingiusti quando si compie un'azione; prendere l'autobus o comprare la sesta macchina, fare la raccolta differenziata o bruciare i copertoni della macchina. Questo è.

Ecco, tutto questo ci ha portato a dividerci, non siamo più un popolo, ma tanti individui legati agli insulti, al mal di fegato davanti al tg, alla speranza che prima o poi le cose cambino, almeno un pochino.
Ma la speranza non accende in noi niente, non c'è voglia di cambiarle davvero le cose, di fermare i treni, bloccare le strade, unirci e far sentire come e quanto si strilla quando le cose fanno male, più che andare male.

Non sono padre, ma quello che mio padre ha dato a me, è la possibilità di scegliere, certo, nei limiti delle possibilità e dei suoi sacrifici, ma io un bivio l'ho visto, ho avuto quel secondo di esitazione, di crescita, quel senso di responsabilità rispetto al modo in cui costruire me stesso. Così, pieno di paure, ho scelto.

Potrò io dare questo ad un eventuale marmocchio di mia proprietà.
L'impegno è personale, ma in Svezia, secondo me, questa cosa un ragazzo della mia età non se la chiede.
E questo non è normale.

Non è normale che ci siano le condizioni di ripeterci, sì, parlo a me e a voi.
Siamo fermi, sulle nostre sedie.
Non ci muoviamo, aspettiamo. Anche abituati a credere che se va bene per noi, prima o poi, andrà bene per tutti.

Perchè?



Nessun commento: