Esiste una lettera pubblicata su un quotidiano. L'ha scritta una ragazza che si chiama Simona. L'ha scritta al ministro Gelimini, lei, che sta rivalutando il nostro sistema di educazione.
La lettera strilla, in maniera convincente, e sveglia la mente. Anche se, francamente, a questo nostro ministro della Repubblica basta aprire la bocca per farci alzare da sotto le coperte.
L'esperienza personale di chi scrive è quella di chi, dalla terza elementare ha subito, in maniera assolutamente sperimentale (nemmeno ad una cavia molto fortunata) tutte le rivoluzioni scolastiche esistenti.
In seconda elementare, il piccolo the ego blog, veniva avvisato che, dall'anno successivo, le sue maetre sarebbero state tre: una per italiano, una per matematica e la terza per tutto il resto. Quando si porta un grembiulino blu non si sta attenti a certe cose, il fiocco bianco che si snoda è già di per se un bel problema.
Arrivato al liceo, il the ego blog teenager entrava nel fantastico mondo della scuola dei crediti e dei debiti, nemmeno fosse un gruppo bancario (in questo senso la riforma lo avrebbe comunque agevolato, le sue scarse abilità in latino, con il vecchio sistema, lo avrebbero costretto a vacanze dimezzate, praticamente per tre anni).
Giunto all'università, entrava di diritto alla facolta di scienze della comunicazione ed era il primo criceto della formula tre più due, quella base e specializzazione, quella in cui, per alcune cattedre, il libro del triennio era identico a quello della specialistica; oppure quella in cui, parlando col professore facevi gentilmente notare che era francamente inutile affrontare il corso di specializzazione se poi, per metà dello stesso, l'insegnante ti raccontava le stesse cose che avevi già ascoltato qualche anno prima.
Sono perfettamente d'accordo con le parole che spero vorrete leggere qui e questo post è solo un modo per fare maggiore eco ma anche per dire quello che andrebbe detto: nel film Social Network c'è una sequenza in cui i due ragazzi, sentendosi truffati, corrono dal preside di facoltà, parliamo di Harvard.
Una volta esposto il problema, il preside pronuncia le seguenti parole:
"tutti quelli che escono da Harvard non devono trovare un lavoro. Devono inventarne uno".
Questo è indice di una mentalità universitaria che non forma robottini abili, ma che costruisce menti capaci.
Il problema in questo momento storico, in Italia, è se l'università prepara le persone al mondo del lavoro oppure no.
Personalmente trovo la domanda assolutamente sbagliata alla radice.
Il mondo del lavoro è una cosa, l'università ben altra.
L'università è ciò che costruisce nella mente un sistema di pensiero, una metodologia abile ed utile a ragionare, pensare e costuire, se possibile, anche un lavoro.
L'università è, o meglio, dovrebbe essere; fammi vedere fin dove quello che hanno detto gli altri può trovare limiti oggi, perchè adesso, con quello che ho imparato, posso portarlo avanti.
L'università non è: ho imparato e quindi lo metto in pratica, quello lo fa il garzone di bottega che, con impegno, impara dal padrone e lo rimette in pratica. Forse, anche una scimmia ben istruita potrebbe farlo.
Forse i libri esistono per essere superati.
Simona si lamenta perchè il valore di una laurea in Scienze della Comunicazione, qui in Italia, viene considerata zero, e spesso, come lei dice, quando qualcuno le faceva notare che il valore di "medicina" o "giurisprudenza" era superiore, lei restava in silenzio, GROSSO ERRORE.
Una volta ho sentito dire ad una ragazza neo laureata "...sai noi di scienze delle merendine......" le ho dato della cogliona, perchè se non siamo noi stessi a credere in quello che facciamo, dandogli credibilità, come possiamo aspettarci, in un paese in cui esistono programmi come Kalispera (a cui anche il primo ministro prende telefonicamente parte), che lo facciano gli altri?
E comunque c'è anche chi la chiama "Scienze delle bollicine"; intanto io, da laureato in nuvolette, innesco nelle menti altrui il desiderio sfrenato di una cosa della quale farebbero tranquillamente a meno.
Poveri burattini.
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