mercoledì 27 ottobre 2010

Punto piatto.


Giovane, giovanissimo, forse un microbo. Lezioni di tennis. Siamo al secondo anno di attività su terreni diversi. Impegno massimo e grande determinazione. Improvvisamente all'impegno non corrispondono i miglioramenti. Periodo nero? Pile scariche? Passione sconfitta al secondo set? Improbabile. Il giovanotto ne parla col suo allenatore e viene a conoscenza del fatidico "periodo piatto".
Succede che, in qualunque attività svolta, ci sia un periodo in cui i miglioramenti non siano davvero evidenti. Una lumaca che si muove. Impalpabili come aria, un pugno di mosche, scarpe sporche, calzini bucati. Tutti sotto la doccia.
Il periodo ha una durata variabile e si soffre, come una cinquecento del 65' in salita. Arranca, quasi si blocca. Necessità di stringere i denti accesa. Sguardo tirato, guardare avanti, tutto passa.
Generalizziamo la teoria, fingiamo (ma anche no) che si possa verificare nella vita di tutti i giorni. Fingiamo che le cose possano sembrare ripetersi come nel peggiore dei dischi rotti, incantato su quel ritornello che sembrava piacerci così tanto all'inizio, poi, dopo, annoia, finendo per straziare le orecchie, stuccando anche il sistema nervoso.
Momenti, ore, giorni, in cui le cose sembrano ripetersi sempre nella stessa scontata maniera, uggiosa, poco stimolante, quasi che tirarsi via dalle lenzuola sia un favore che facciamo agli altri più che a noi stessi. Spilorci di volontà, desiderosi della svolta però, solleviamo il deretano, splash dritti sotto la doccia, una bella spolverata ai denti e siamo in strada. Sembra tutto uguale? Sembra tutto ripetersi? Alcuni dicono che la routine seppur noiosa sia la fonte di sicurezza psicologica maggiormente riconosciuta. La odi, la ami.
E adesso? Finito di leggere che farai? Ma non l'hai già fatto ieri? No? Meglio.

Nessun commento: