martedì 31 agosto 2021

Via Principessa Clotilde.

 


Considerando che una tra le cose che nella vita non si sconfigge è se stessi, la sola cosa da fare con il nostro buio interiore è conoscerlo, farci amicizia, e accettare che di tanto in tanto, se non gli lasciate prendere il sopravvento, forse, qualche piccolo sorriso ve lo fa fare.

Considerando che scrivere ormai non è più una quotidianità ma una specie di lusso del quale mi privo, come tutte le migliori anime di questa terra devote al sadomasochismo, per questa volta ringraziamo quella parte, che proprio dal buio di qualcos'altro, è uscito fuori per accendere una luce nei pensieri.

Lasciando una piccola villetta tutta bianca che si affaccia sul mare, dopo averla coperta di chiacchiere, urla, pianti, pappette, pannolini e chissà quante altre cose, ci siamo allontanati di spalle, abbiamo chiuso la porta, lasciando che il sole non ci entrasse più dentro e che quel buio l'avvolgesse.

Due sono state le cose che ho provato, paura e malinconia, ma da queste, con i giorni, è però nata, in maniera del tutto inaspettata, una certezza calda, il buio racchiude, conserva.

Andando via immaginavo l'alone nero che copriva, come un manto, tutto quello che era stato usato fino a quel momento; sedie forchette, cuscini di un divano, prese della corrente, fazzoletti, asciugamani, spazzolini e dentifrici. Ogni cosa veniva coperta nel silenzio, come dovesse riposare dopo tutto quel tempo, comunque breve. Come se ogni cosa avesse fatto ciò a cui era destinata, e poi basta.

In quel momento la casa tutta diventava una sorta di niente.

Niente più schiamazzi, niente più sorrisi, niente più pianti, niente più niente. Silenzio. Sipario.

E sarebbe, come è ancora, rimasto tutto così, in attesa, magari, del prossimo anno.

Ho pensato, lasciandomela alle spalle al destino dei luoghi, alla loro deficienza e sfortuna. La possibilità di poter essere più longevi degli esseri umani che la vivono, ma l'impossibilità di poter raccontare ciò che osservano. 

Ho pensato al destino e al suo percorso che passa da crudeltà a malinconia, fino a dolcezza.

Una casa regalata ad un figlio, come ricordo, come speranza di immortalità nei ricordi, visto che nella carne non era più. La ferita per quel ragazzo di viverla con l'amaro in bocca per anni, un sorriso a mezza bocca, un grazie riconoscente ma stanco del peso del ricordo stesso di quelle mura.

Poi il giro del tempo, poi quello che quei giri hanno portato, una ragazza, una fidanzata, una moglie, una madre. Ed ecco che l'amaro in bocca diventa un passito, la giostra riprende a girare e quello che vivi tra quelle mura sembra quasi una scontata conseguenza. Che dal dolore, alla sua fine, ci sia sempre qualcosa per cui tornare a sorridere e sognare, o meglio vivere.

Le cose si rinfrescano di nuovi ricordi, come portate in tintoria e rimesse a nuovo. Bianche, candide. Una pagina tutta nuova su cui scrivere qualunque cosa da capo.

E la casa guarda, le mura osservano, riescono a restare distanti solo perchè ci saranno già passate tante volte, sanno che la rabbia che vedono oggi, domani sarà un sorriso. Lo sanno, ma non possono dirtelo, non possono aiutarti.

Pensa che bello se avvicinando l'orecchio ad una parete, questa potesse parlarti, sussurrarti, spingerti a non avere tutta quella paura, scaldarti il cuore raccontandoti una storia vista molti anni prima che tu posassi la tua attenzione su di lei.

E quindi lasciare quella piccola casa pensando che mai il buio può insegnarci tanto, che mail buio che tanto ci spaventa da bambini, in realtà possa essere un amico, uno scrigno nel quale ogni cosa viene protetta, fin quando non torniamo, apriamo il sipario e tutto riprende. La ruota sulla quale la vita si muove fa un giro in più, mezzo metro alla volta e traccia il nostro percorso.

Andando via ho pensato che lasciare le cose nel buio avrebbe fatto sentire sola quella casa al mare, così come la casa dei miei genitori o dei miei nonni in campagna, che senza nessuno dentro diventa orfana di sorrisi, e un pochino forse se ne dispiace, ed è solo grazie alla sua grande esperienza, alla sua età che accetta questo grande compromesso, quello di vivere anche a singhiozzo, ma poter vedere più di un'avventura, più di un giro di ruota, millemila volte il sole salire e scendere, un ragno tessere la ragnatela e riposare lì dentro, in un angolo, nel buio, fin quando la porta si apre, soffia un filo di vento, il ragno scappa e la ragnatela viene spazzata via.

Io sono scemo perchè spesso me lo chiedo che c'è in quel silenzio quando non siamo dentro quella casa, perchè per me è lo stesso silenzio che c'è tra le stelle, nell'universo pieno di pianeti, nei buchi neri. Forse c'è la gravità della filosofia, o la triste sola certezza di quanto siamo piccoli come esseri umani, rispetto ad una grandezza che non riusciamo nemmeno a comprendere. Ci muoviamo sulla terra pensando di essere al centro di ogni cosa, così come si muovono le stelle da una parte all'altra delle galassie. Almeno loro lasciano la scia. Quanti di noi quando si muovono lasciano una traccia del loro passaggio?

E mentre pensavo a quel silenzio e purtroppo a quanto le cose esistono, per noi, solo quando le viviamo, mi sono chiesto perchè mai proprio io tra cento milioni di persone devo farmi tutti sti pensieri, perchè da semopre devo sentire il peso delle cose che peso proprio non ne hanno.

Quanto pesa il buio? Quanto pesa il silenzio? Quanto pesa quel mezzo metro che fa la ruota della vita?

Dipende. Dipende da quanto ti senti che stai lasciando la scia quando ti muovi.

Boh.


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