La gentile arte dei tuffi.
Osservare un corpo perfettamente equilibrato librarsi nell'aria, spinto dalle gambe, rompere l'aria per entrare in delle figure, studiate, pensate, provate e riprovate.
Capovolte e capogiri, fino a entrare, con rispetto e senza disturbare, il pelo dell'acqua.
Il tuffo e il suo vocabolario.
L'ignoranza di tutti noi nel conoscere una sola parola che usiamo tutti quanti. Che serve un pochino per tutti: il carpiato.
Sembra una testa che gira su se stessa, seguire con gli occhi il guscio di una lumaca che vertiginosamente ci centrifuga le pupille.
Così il pensiero, a volte, carpia. Esiste il verbo? Carpiare, da carpiato. Avanti e indietro, torni e ritorni (si può dire sta cosa?).
L'incubo delle menti sottili, peggio, degli animi fragili.
Carpiare, rovesciarsi indietro, ciclicamente, più volte per qualche breve istante.
Riguardare, ritornare indietro, ripensare, ri-ragionare. Inutilmente. Il più delle volte.
La voglia di convincersi che quello che abbiamo fatto aveva un senso? O cercare di capire se ha lasciato qualcosa. Se ancora oggi fa sorridere, fa ridere, fa tristezza, se insegna qualcosa. Capire se la cicatrice porta con se solo un ricordo o una lezione molto più grande.
Capire se si è un'anima pia, in pena o solo stupidi. Tanto stupidi.
Peggio, è forse la consapevolezza che ciò che si vive andando avanti, forse, non scalda, brucia, preme spinge, incrina quanto quello che prima c'era.
Un pochino due palle carpiare. Un pochino mega palle restare appesi alla ricerca del senso del passato. Un tantino giusta la frase di un film che dice "il passato è solo una storia che ti racconti". Ma quante volte devi rileggere una storia per capirla? Quante volte devi riviverla anche solo con il pensiero per trovarci delle cose nuove che pensi di non aver capito bene.
Per sapere se in fondo era bella, brutta, giusta, sbagliata, o semplicemente vera.
Forse fin quando non ti dici "che palle", fin quando non ti sfianca anche solo il pensiero di riaprire quella pagina, quel foglio strappato, nella speranza che il respiro resti identico a quando ti lavi i denti, nella speranza di non dover trattenere il bum bum che sale comunque.
E sentirti così stronzo ma in parte quasi soddisfatto, magari felice, perchè almeno sei consapevo che quel coso tra i polmoni (anche se non dovrebbe, anche se maldestramente fuori luogo) comunque cazzarola funziona.
Possibile che sono i sentimenti che crediamo di non dover sentire che ci fanno sentire vivi?
Possibile che l'errore è la prova o controprova del nostro comune vivere?
Perchè quando però fila tutto liscio, alla fine, pensiamo che sia piatto?
Quanto dura il tempo di un pensiero, in questi casi il tempo di un tuffo.
Sembra un niente, gli istanti si perdono nella precisione dei movimenti del corpo, la mente dimentica anche il pericolo che porta con se fare queste figure nell'aria.
E poi splash, testa in acqua, sotto l'acqua, dove regna solo un gran silenzio, il pensiero si ovatta e non c'è spazio per chissà cosa. Ci portano a fondo tutti i pensieri, noi li riportiamo a galla per riprendere a respirare. Con la testa fuori dall'acqua, come gocce, le memorie scivolano e speriamo che uscendo dalla vasca restino lì dentro.
Ma una persona senza pensieri, senza dubbi, senza memoria, alla fine, che persona è?
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