sabato 13 febbraio 2016

Ostriche.



Quando il sabato mattina comincia con una riflessione demente, è chiaro che il venerdì sera non sei finito barcollando verso casa.
Bene o male?
Importa poco.
Sei tornato a casa con la testa vuota?
Tanto basta.


In questo sabato mattina il tema scottante è quello che ci detta la colazione.
O meglio il rituale calmo e tranquillo che ci permettiamo in questo giorno tanto atteso quanto sacro.
Abitudini cercate, coltivate, diventate parte integrante di noi.
Meglio, siamo noi.
Alcune cose diventano noi senza che nemmeno lo volessimo.
Ci innamoriamo di loro senza senso.
Appunto innamoriamo.
Concedendoci il lusso, meraviglioso, di non chiederci mai il perché.
E di solito le risposte a cui non esiste un perché sono sempre quelle che restano
indelebilmente
dappertutto sotto la nostra pelle.

Immaginiamo le solite cazzate che propone questo blog.
Le nostre abitudini ci precedono.
Ci sono prima di noi.
Siamo il fortunato (o meno) proseguimento della nostra o delle nostre vite precedenti.
Amiamo cantare sotto la doccia perché eravamo un usignolo che è stato delicatamente fatto secco. Così, in tragedia.

Amiamo fare colazione seduti a tavola ogni mattina, addirittura svegliandoci prima anche il lunedì, semplicemente perché eravamo un fornaio francese nella Francia dei Re e delle Regine. Amavamo così tanto il nostro lavoro che, poi, in questa nuova vita, lo facciamo per noi. E proviamo un piacere del tutto inspiegabile.

Esistono passaggi di canzoni o dialoghi di film che sembrano dare speranza rispetto a questa teoria strampalata.
Come se film e canzoni fossero la scienza.
Ma non sono cantanti, scrittori e registi i pensatori di oggi? I futuristi?
Anche se spesso il più astruso pensiero umano ha fatto da bussola in passato, per raggiungere qualcosa che nemmeno potevamo immaginare.
Jovanotti dice (citazione d'eccellenza): siamo impegnati a cancellare le tracce della nostra vita precedente.
Luc besson, nel suo ultimo film Lucy, mette in bocca a Scarlett Johansson la seguente battuta: in effetti noi non moriamo mai veramente.

Siamo ciò che deve proseguire di una vita che abbiamo avuto.
Siamo l'ostrica, portiamo una perla dentro:
valori, memoria, passioni.
In alcuni quello che trasportiamo è più evidente; il sentimento, il genio, il senso di ribellione, l'istinto omicida, la rabbia, la violenza (perché esistono anche negatività nell'essere umano)  ed esce in modo vulcanico, erutta verso tutti gli altri.
Ci travolge, ci sveglia, spodesta.

Proviamo a vederla in modo meno passivo.
Non siamo un corpo, semplice e banale.
Siamo una cassaforte.
Sta a noi trovare la cifra per aprire e svelare ciò che abbiamo da raccontare
da consegnare.
Magari tanti di noi la tengono rinchiusa perché incapaci di esserne consapevoli.
Chiamiamoli superficiali.
Il giro di vite, quella giostra scassata e casuale, magari quella volta ha sbagliato contenitore.
Pazienza, lei è perpetua, appena la scatola è da buttare, ciò che contiene farà un nuovo giro, una nuova possibilità.
Magari, non è colpa del corpo, semplicemente non era il tempo.
Il momento giusto.
Altre volte la consapevolezza del proprio fardello è tanto forte che sconquassa l'esistenza.
Unica soluzione, liberarsene.
Come se fosse una tortura tenerla dentro.
Malcom X, Ghandi, Nelson Mandela: cassaforte d'oro con un tesoro di diamanti.
Consapevoli di quello che sentivano, del peso e della difficoltà che le persona avrebbero avuto nell'accettarlo.
La novità, la diversità, le idee vere, quelle che non ti aspetti, hanno un grande immenso potere: spaventare.
Il timore non sempre viene accolto con curiosità, anzi, è più il contrasto o il rifiuto che genera.
Ed ecco che il genere umano è solo in grado, in prima battuta, di uccidere e mettere a tacere, per poi, rendersene conto.

La Bibbia parla di un Gesù crocifisso per le proprie idee rivoluzionarie.
Togliendo il potere e l'interpretazione della chiesa, non è la metafora di quello che è successo a tutti quelli che davvero hanno provato a portare o riportare il tesoro che sentivano di aver dentro, avendo come unico colpa quello di averlo condiviso, nella speranza di trovare persone concorde, appunto, discepoli.

Scendendo verso cose più semplici Morgan Freeman in “Una settimana da Dio“ dice a Jim Carrey, che interpreta il ruolo di uno sfortunato anchorman in cerca di successo,
 “ah umorismo, ti è sempre venuto bene, te l'ho dato io“.
Quello che non vedeva Bruce Nolan (Jim Carrey) era ciò che c'era nella sua cassaforte.
Lui cercava la gratificazione personale nel raggiungimento del successo.
Voleva dare le notizie, voleva raccontare qualcosa.
Quando invece tutto quello che sapeva veramente fare bene era far sorridere.
Il suo dono era quello, ciò che avrebbe dovuto tramandare era il potere di un sorriso e dell'allegria.

Quindi forse sta anche a noi capire quale sia la cosa che ci viene così naturale e che, senza volerlo, ispira e aiuta gli altri. 
Ecco allora che capiamo la cifra, scopriamo la combinazione.
E tutto si apre.
Ma questa forse è anche un'altra storia.

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