giovedì 28 maggio 2009

Destino e magia.

Il cappello magico di Hogwarts è il tipico esempio di come, forse, la scrittrice (Joanne Kathleen Rowling) di Harry Potter voglia insegnarci che il destino esiste relativamente.
Harry e i suoi amici, per entrare in una delle "famiglie" della scuola, devono infilare la testa sotto il cappello magico e attendere che la scelta si compia.
Tutti quelli che precedono Harry, una volta infilata la testa, restano in silenzio attendendo il verdetto del cappello che "tutto conosce", Harry no, la sua volontà è chiara e non esprimerla gli è impossibile.
Una volta dentro, inizia a pensare che non vuole assolutamente la casata dei Serpeverde e la preferenza non esplicitata dalla mente ma creata dalla storia è quella verso i Grifondoro (tutti i suoi nuovi amici sono già in quella famiglia) . Il cappello, che "tutto legge nella mente" svela a tutti i pensieri di Harry e decide di indirizzarlo in quella che era la volontà del giovane mago: i Grifondoro.
Credo che, sperando di non sbagliare, se la scrittrice avesse voluto dare maggiore enfasi all'aspetto inaspettato e, a volte crudele del distino, avrebbe scelto per Harry altro, o magari Serpeverde. In realtà il cappello non decide il destino di Harry, è Harry stesso che spinge le cose verso la direzione che vuole, lasciando al capello solo la parte formale della decisione.
Questo forse significa che, magari, quando crediamo che siano gli altri a decidere di noi non è sempre così.  Dovremmo, il più delle volte, essere noi stessi ad indirizzare la nostra lettura agli altri rendendo evidente ciò che siamo, lasciando a chi è "giudice" del nostro destino solo quella strada che noi vogliamo che si apra. 
Non sempre è possibile, ma provarci è obbligo.

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