Mio nonno è morto a 82 anni.
Ha fatto la guerra, forse era fascista, anche se alla fine non gli ho mai sentito dire niente di male su nessuno, manco sugli animali. Ho sempre pensato che amasse stare in disparte, la sua silenziosità, e il fatto che nessuno su questa testa avesse il diritto di rompergli i coglioni.
A tutela di questo suo indistruttibile diritto lui ricordava sempre la sua età, ogni volta che c'era da ribadire che lui la sua opinione l'aveva espressa e se non ci fosse andata bene, avevamo due soluzioni, accettarla o assecondarla senza essere d'accordo.
Diceva sempre che "l'anima ce l'ha il sambuco". Una pianta, forse quella che da vita alla Sambuca, che ha al suo interno uno spazio vuoto dentro un cilindro di gambo spesso; una specie di Bamboo senza dover prendere un volo di undici ore.
Quando voleva esprimersi sui temi di politica, o stava zitto, o scuoteva la testa. Diceva, per gli Albanesi, che li avrebbe messi tutti in fila spalle al muro e li avrebbe fucilati.
Così ci tramandava le memorie della sua partecipazione alla guerra mondiale. La seconda.
Tornato dalla guerra è entrato in guardia di finanza. Non giocava mai a carte, non prendeva regali da nessuno, e quando è andato in pensione, lui, si è fatto il suo angolo di paradiso.
Si chiamavano "Forme Nove", o "Le Forme Nove". Non ho mai capito se fosse un nome che gli aveva dato lui o se fosse la zona nella quale c'era l'appezzamento di terra brulla, che col tempo trasformò in una specie di fattoria in miniatura.
Mio nonno aveva gli occhi azzurrissimi. Non erano di ghiaccio e nemmeno blu mare profondo, tipo quello delle cartoline dei Faraglioni di Capri. Erano blu, come la tempera disegnata sui contenitori di cartone dei pennarelli. Non aveva più molto capelli e aveva il naso aquilino, si reggeva sui baffetti, stile Hitler. I dettagli non vogliono farvi credere che fosse un malinconico fascista. No, non lo era.
Mio nonno credeva nella terra.
Si addormentava davanti al Gran Premio la domenica.Non parlava mai di calcio. Non parlava mai del passato, mai del lavoro. Si era fatto crescere un'unghia della mano destra in maniera forse esagerata, era lunga spessa e gialla. Diceva che gli serviva per le funi.
Non ho mai saputo come viverla. Dopo trent'anni, però, è un dettaglio che ricordo.
Come quando passo con la 600 Fiat sopra tutta l'infiorata davanti casa perchè lui comunque anche quel giorno sarebbe dovuto andare alla Forme Nove.
Schiaccio tutti i fiori, era domenica, tutto il paese avrebbe fatto il giro delle vie, prime e dopo la processione. Mio nonna, dalla vergogna, non uscì di casa per due tre giorni.
Non è vero, uscì e lo insultò davanti a tutta la via e con il resto delle sue amiche di paese.
Lui visse quelle rimostranze con le spalle di chi ha già sostenuto così tanti pesi che una stronzata del genere gli faceva meno del solletico.
Era burbero e profondo. Raccontava di non giocare a carte perchè una volta un suo amico, durante una partita stava barando, e lui, che non stava comunque giocando, se ne accorse.
Se mai avesse qualche momento di indecisione, questo evento, lo allontanò definitivamente da ogni tentazione.
Non fumava, almeno da quando nacqui io. Ma prima forse sì.
Era il papà di mio papà, il nonno di cui parlo, e non l'ho mai visto parlare col papà di mia mamma. Che anche lui faceva il finanziere. Il paese era, come è, piccolo, loro non si erano antipatici, eppure, mai visti scambiarsi un segno di qualcosa. Non è strano?
Quando andava al bar, guardava in silenzio. Se entravo io al bar mi guardava. Secondo me controllava che mi comportassi bene. Il paese parla, a lui fregava un cazzo del pettegolezzo, ero suo nipote, e dovevo comportarmi bene, e basta.
Non gli piaceva quando al bar giocavo ai videogiochi, diceva che buttavo tutti i soldi che mi dava nonna in quel bar. Parliamo di cinquemila lire in due giorni.
Salutava tutti con la stretta di mano, anche mia sorella più piccola, sempre. Ha cambiato modo dopo che mia nonna è mancata.
Tra le sue frasi più celebri, dopo quella degli albanesi, fu quelli di avvertimento a mia madre, quando mio padre la portò a casa, "fino a quando non ha finito il militare non garantisco niente".
Schietto, diretto, sincero. Delicatezza, accessoria.
Non ricordo che avesse amici. Seppur sforzandomi non ricordo che scendesse sotto casa con mia nonna a parlare con le persone della via. Si metteva in balcone, sulla sdraio, nel silenzio, fissava qualcosa. Pensandoci adesso invidio quella pace. Magari pensava. Non ho mai capito cosa. Di certo dava l'idea di non aver bisogno di nessuno.
Quando nonna ci dava la busta di Natale, scansava i bacetti, accettava i grazie.
"Mettili via", suggerimento o ordine? Era rivolto anche a mia madre, lo ripeteva "mettiglieli via".
Mio nonno ancora a 80 anni metteva i soldi da parte. Non so come leggerla questa cosa. Giuro non lo so. Senso di immortalità, residui di una vita pensata a doversi preparare sempre al peggio, una incapacità cronica di rilassarsi e lasciarsi andare, estrema purciaria.
Mangiava quintali di Certosino monoporzione. Quel formaggio che sembra tipo crescenza.
Qualunque fosse il pasto, per secondo veniva quello.
Tornava a casa portando spesso delle uova.
A tratti ricordo il timbro e il suono della sua voce. Non ricordo la sua risata. Rideva poco.
Mia nonna lo rimproverava per questo "Tu si n'ignorante che te scampi guarda".
Per coerenza, facendosi scivolare anche questa cosa, non rispondeva.
Lo infastidiva il rumore, troppe risate, la tv alta, dalle 2 alle 4 d'estate si dorme, in corridoio silenzio. Il corridoio era lunghissimo. Che palle dormire il pomeriggio d'estate. Quando sei piccolo.
Una volta l'ho sentito rispondere al telefono "Allò". Mia madre si è pisciata dalle risata per tutto il giorno.
Quando stava per mancare nonna l'ho visto piangere. Non prima di scuoterla sul letto mentre era in coma. Mio papà lo fece portare via.
Ha continuato per qualche mese ad andare comunque alle Forme Nove, ma continua a ripetersi, vado prendo due uova e torno, le metto nell'acqua "tanto ormai so solo".
Sentendo queste parole ricordo di essere stato felice, perchè avevo scoperto chi e dove fosse il suo cuore. Non ero contento per lui, anzi, è stato uno dei periodi più tristi della mia vita, ma vederlo fragile, in quel momento, mi ha insegnato una cosa forse banale, che non c'è coraggio più grande di sapersi mostrare fragili all'amore, alle persone. Saperlo nascondere è semplice.
Quando è mancato in ospedale, mio padre mi disse che vedendo il papa in tv al Vaticano, si fece il segno della croce, mio padre ridendo disse che "ha iniziato a cacarsi sotto".
Perse diversi chili, gli faceva male una spalla ma la calcificazione ossea era lì da almeno vent'anni. Gli mancava mia nonna, era quello il fastidio più grande.
Quando morì, non ricordo persone piangere. Anche mio papà pianse poco o forse niente.
Io all'inizio osservai tutti gli altri e quasi mi attenni a questa accettazione passiva. Aveva 80 e rotti anni, si può morire a quell'età, va bene.
Solo che poi inizia a piangere, prima in ospedale, poi al cimitero.
Ripensavo a "studia che t'arimane", una cosa che mi disse in salotto, non ricordo perchè, non ricordo di cosa si parlasse. Ma so che lui aveva la terza elementare e aveva spinto mio padre a laurearsi.
Oggi quelli che dicono le parole d'impatto direbbero che lui aveva una "visione" delle cose.
Per me, semplicemente, non era un cojone, e piuttosto che far fare la sua vita a tutti noi ha sperato e fatto di tutti per renderci migliori di lui. Credo ci voglia pienezza e pace con se stessi per fare questa cosa, anche quando si è nonno e padre.
Non è il suo anniversario, oggi. Non so manco perchè racconto qui questa storia.
Ma so che in ogni suo lato ombroso purtroppo o per fortuna, io mi ci rivedo.
Forse anche io ho bisogno delle mie Forme Nove, di sicuro mi chiedo che penserebbe del mondo di oggi, mi piacerebbe raccontargli di quello che mi è successo, che mi succede, anche solo per vedere una persona di (ad oggi) cento e rotti anni mi direbbe, oppure anche rivederlo a quell'età e farmi che sono uno scemo e che non avrei e non devo fidarmi mai di nessuno.
Ho paura che mi direbbe così, che mi racconterebbe quella volta del suo amico che aveva le carte nella manica.
Possibile che l'asso nella manica ce l'ha sempre chi tenta di mettertelo nel culo?