giovedì 21 gennaio 2010

La scrittura salva, a volte incastra.

Burroughs e Bukowsky potrebbero essere due esempi di uomini a cui la scrittura, forse, a salvato la vita, forse, l'ha allungata o magari l'ha solo resa più sopportabile.
Si dice che Kerouac, amico di Burroughs, abbia ritrovato il suo amico sommerso dalle carte piene di appunti, droghe e liquidi di vario genere in India, dopo non averne saputo più nulla dopo la sua partenza "spirituale"; preoccupatosi Kerouac prese un aereo per andarlo a cercare, ritrovandolo in uno stato semi comatoso da assuefazione di droghe, ovviamente diverse. Kerouac, un ragazzo già sveglio, portò via con se, oltre il suo amico a spalla, tutti i fogli, i fogliacci e le droghe, per farne "Il pasto nudo", uno tra i lavori più belli del suo amico e confidente Burroughs.
Per quello che riguarda Bukowsky c'è veramente poco da dire, la sua vita è tutta nelle righe dei suoi libri, strano siano venute dritte, visto che diceva di scrivere sempre sotto l'effetto dell'alcol, il problema è che riusciva a scrivere sempre qualcosa di senso compiuto e tremendamente bello. Anche lui ha trovato nella scrittura la sua salvezza, il suo sfogo o forse solo i soldi per continuare a comprare da bere, ottimo combustibile per la sua fantasia.
Ripercorrendo indietro nella storia anche Coleridge, famoso poeta inglese, non si vergognò mai di ammettere che l'oppio era la sua musa ispiratrice principale e, se non sbaglio, si dice che anche Tolkien scrisse tutto il signore degli anelli nell'angolo buio di un piccolo pub; ora dimostrare che fosse ubriaco non è possibile ma di sicuro qualche pinta la mandava giù, o forse il concetto di "consumazione obbligatoria" ancora non esisteva.
A questo punto la domanda è: si drogavano per scrivere o la scrittura li ha portati a drogarsi? Io, intanto, mi vado a fare un bicchiere.

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